Da pochi giorni si è conclusa la sedicesima Festa del Cinema di Roma e noi, come di consueto, anche quest’anno abbiamo frequentato l’Auditorium Parco della Musica alla ricerca delle pellicole di Genere più interessanti e degne di nota della kermesse capitolina. Bisogna ammettere, cari Amici di InGenereCinema.com, che questa edizione numero sedici – la quinta diretta da Antonio Monta – si è caratterizzata, ahinoi, per la medietà dei prodotti in selezione. Cinema medio, produzioni dignitose senza particolare slancio, né di forma, né di contenuto. Tuttavia, qualche colpo la Festa ce lo ha riservato, alcuni molto attesi e pop, altri ricercati e autoriali da non sottovalutare. Dunque, senza ulteriori indugi, buttiamoci nel gorgo e andiamo a cominciare.
SIGLA!
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ETERNALS di Chloé Zhao
Iniziamo subito con il piatto forte, il titolo più atteso, la pellicola di punta della selezione. Il venticinquesimo film dell’Universo Cinematografico Marvel, diretto dalla regista premio Oscar per Nomadland, Chloé Zhao. Stiamo parlando di Eternals, naturalmente, tratto dal fumetto ideato da Jack Kirby e pubblicato per la prima volta nel 1976. Ambientato milioni di anni fa, segue la storia degli Eterni, un gruppo di eroi sovrumani, creati attraverso una serie di esperimenti da esseri cosmici chiamati i Celestiali. Mitologia greca, cosmologia spicciola, star hollywoodiane e tanta, tanta voglia di rendere “cinema d’autore” qualcosa che non lo sarà mai. Infatti, non basta l’approccio visivo e poetico di Chloé Zhao per dimostrare che i cinecomics Marvel sanno essere molti più profondi e significativi di quello che normalmente si crede. Ambizione alta e legittima, ma che naufraga molto presto [o troppo tardi visto la durata della pellicola!] in un mare di consuetudine da supereroi, cliché sul sacrificio chi colui si prodiga per la salvezza del pianeta e un finale scontato e davvero troppo prevedibile. Anche l’approccio formale finisce per rivelarsi eccessivamente aderente al solito linguaggio del cinefumetto, seppure più ricercato, minimale e realistico. Chloé Zhao, infatti, finisce per fare il medesimo film targato Marvel, straripante d’azione, semplice nel contenuto e interminabile nella durata. Cercare altre strade, altri personaggi e un nuovo modo di raccontare il mito e l’eroe è assolutamente sacrosanto e intelligente. Ma spesso la strada verso l’inferno è lastricata di buone intenzioni.
La rivoluzione in casa Marvel, dunque, dovrà attendere, ma la domanda resta sempre la stessa: ancora per quanto dovremmo vedere lo stesso film centinaia di volte?
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LA FAMIGLIA ADDAMS 2 di Conrad Vernon e Greg Tiernan
I registi Conrad Vernon e Greg Tiernan riportano sul grande schermo La famiglia Addams nella loro versione animata, a distanza di un paio d’anni dal fortunato primo capitolo. Anche questa volta, la vera protagonista della pellicola è la piccola Mercoledì, la quale potrebbe essere stata scambiata alla nascita e non essere la terrificate e spassosissima secondogenita di Gomez e Morticia. Tale dubbio spinge la famiglia a intraprendere un folle viaggio per gli Stati Uniti al fine di cementificare il legame famigliare che è stato scalfendo. Dopo l’enorme successo del primo esperimento animato sui personaggi nati dalla mente e dalla matita di Charles Addams, era impossibile non attendersi un sequel in tempi brevi. Difatti, Hollywood non si smentisce mai. Ma, se il primo capitolo ha avuto il merito di restituire un aspetto grafico e caricaturale ai nostro amati Addams, seppur non aggiungendo molto altro alle tematiche e alla crescita di questo materiale intellettuale così indagato dal cinema e dalla televisione, questo secondo film fa addirittura meno. La famiglia Addams 2 si presenta con una struttura narrativa esilissima, con un ritmo filmico piatto e senza alcun momento degno di nota. Senza ambizione o desiderio di crescita, anche le idee migliori o i caratteri più interessanti e divertenti possono morire. Appiattire e standardizzare non è la ragione sociale del cinema, men che meno quello dell’animazione. La fantasia, l’imprevedibilità e la gioia di realizzare questi prodotti sono ingredienti che non devono mai venir meno e che tutti gli amanti della settima arte pretendono.
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E NOI COME STRONZI RIMANEMMO A GUARDARE di Pierfrancesco Diliberto
Terzo film per Pierfrancesco Diliberto in arte Pif, dopo La mafia uccide solo d’estate e In guerra per amore, il regista e attore siciliano si cimenta con la fantascienza distopica, echeggiando Her e Black Mirror. Arturo è un manager di una grande azienda che decreta la sua stessa fine realizzando un algoritmo che renderà presto il suo lavoro superfluo. In un solo colpo perde fidanzata, posto di lavoro e amici. Disperato e senza prospettive si adatta a fare il rider, o meglio lo schiavo, per la multinazionale Fuuber, trovando l’unica consolazione a un’esistenza sempre più vuota e senza speranza in Stella, l’ologramma del’app “anima gemella” sviluppata dalla stessa Fuuber. Analisi acuta e condivisibile quella di E noi come stronzi rimanemmo a guardare, ma senza costrutto e forza cinematografica. Un racconto sci-fi fuori tempo massimo che descrive, più che predire – come dovrebbe fare il cinema di fantascienza – la nostra quotidiana sudditanza nei confronti di questo o quell’algoritmo. In ritardo su tutto, l’ultima fatica di Pif appare più come una parodia di quelle pellicole a cui il regista vorrebbe accostarsi, senza mai riuscire a dare tessuto narrativo e visivo al dramma che vorrebbe raccontare. Un film di pensieri, di idee e pericoli sociali evidenti [alcune volte, talmente evidenti da essere stati già affrontati e superati dall’attualità] che purtroppo faticano a diventare cinema in senza tout court. Nonostante una costruzione di scenografica e fotografica convincente, Pif sembra molto più interessato a dimostrare una tesi, piuttosto che a drammatizzarla con gli avvenimenti. Attitudine, quest’ultima, che vanifica gli sforzi produttivi e che non consente alla pellicola di uscire dall’anonimato. Detto questo, non si può non registrare con piacere la crescente disponibilità del cinema italiano – quello mainstream, s’intende – a sperimentare il Genere e a provare a realizzare prodotti di natura internazionale sempre più competitivi.
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RED ROCKET di Sean Baker
Vero rappresentante dell’indie americano, Sean Baker arriva alla Festa di Roma, passando dal Festival di Cannes, con il suo interessante Red Rocket. Anche in quest’ultima fatica, Baker torna a indagare le periferie metropolitane della provincia statunitense e, ovviamente, l’umanità marginale che li abita. Così come nei precedenti Starlet o Tangerine, il regista del New Jersey si interesse alla working-class bianca, povera ed emarginata che sogna il cinema [solitamente quello pornografico] sbarca il lunario e fuma erba.
Mickey è una stella del cinema per adulti caduto in disgrazia. Costretto a lasciare Los Angeles per i troppi debiti torna, dopo diciassette anni, nel Texas sperando nell’ospitalità della moglie – nonché ex partner professionale – che non vedeva da tempo. Lì Mickey troverà in una sensuale e disinibita diciassettenne una possibile porta per rientrare da protagonista nel mondo del porno. Liberato da alcune ossessioni estetiche o stravaganze produttive [questo film non è girato con un iPhone come Tangerine, ad esempio] Red Rocket è un’ammaliante favola nera sul degrado, la solitudine e la depravazione di una parte della popolazione americana, che ha barattato i propri ideali in cambio di sogni miserabili e libertà mediocri. Baker mostra l’involuzione e l’immaturità dell’America trumpiana attraverso i progetti vuoti e infantili di un simpatico cialtrone come Mickey. Senza alcuna dignità e con lo spirito evanescente di un ragazzino non particolarmente sveglio, il protagonista di Red Rocket incarna la depravazione del sogno americano che d’un tratto si è trasformato in un desiderio di piacere basico, fisico e senza alcun coinvolgimento intellettuale. Riflessione potente quella di Baker, ma che, sfortunatamente, nel procedere del racconto perde malignità, diluendosi in una commedia scollacciata, voyeuristica e con troppe ridondanze. Forse, qualche taglio e una maggiore coerenza di tono avrebbero giovato a questo ennesimo viaggio nell’America invisibile di Sean Baker.
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STRAPPARE LUNGO I BORDI di Zerocalcare
E concludiamo il nostro focus sulla sedicesima Festa del Cinema di Roma, cari Amici di InGenereCinema.com, con la prima serie animata targata Netflix di Zerocalcare. Strappare lungo i bordi, questo è il titolo del cartone animato seriale che sarà rilasciato dal colosso dello streaming legale il prossimo 17 novembre, di cui abbiamo potuto vedere i primi due episodi. Per un totale di trentacinque minuti scarsi. Un po’ pochino per farsi un’idea direte voi, e avete ragione! Davvero troppo poco per poter esprime un pensiero critico che vada oltre l’ovvietà più scontata. Tutto quello che siamo in grado di testimoniare è la continuità del lavoro dello Zerocalcare regista e animatore, con quello dello scrittore e illustratore. Anche nella serie ci è parso di rintracciare la sua capacità di riflettere su sé stesso, eppure così facendo, di rintracciare molte delle idiosincrasie, delle storture e delle fissazioni di tanti di noi. Soprattutto quel senso di precarietà esistenziale, di incompiutezza, di smarrimento di una intera generazione. Queste le premesse di Strappare lungo i bordi che certamente vedremo per intero e che altrettanto certamente torneremo a parlarne sulle pagine dell’unica e sola Gazzetta del Cinema e della cultura Horror, del Fantastico, del Bizzarro e dello Straordinario.
Paolo Gaudio