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TELLING MY SON’S LAND di Ilaria Jovine e Roberto Mariotti

Distribuito da Blue Penguins e presentato in diversi festival importanti come il Biografilm Festival, Telling My Son’s Land è da ritenersi un esempio degno di nota nel mondo documentaristico, e questo per diversi motivi… ma andiamo con ordine.

Abbiamo parlato più di una volta su InGenereCinema.com dei precedenti lavori di Jovine e Mariotti, due documentaristi, sceneggiatori e registi che hanno sempre dato vita a lavori molto diversi tra loro per tematica e contesti sociali, ma uniti da intenti comuni, come quello di mettere in evidenza storie, situazioni, eventi raccontati da angolazioni meno evidenti. Jovine e Mariotti nei loro documentari scelgono sempre la strada più difficile, che poi è quella più vera e sincera di chi partorisce un documentario, ovvero quella, dicevamo, di raccontare una storia ispezionando i diversi contesti che la circondano e facendo in modo che ad essere protagonisti non sono gli attori principali, ma quelli che generalmente vengono considerati secondari, ma che poi non lo sono nella sostanza.

In Telling My Son’s Land la protagonista è la Libia, e a raccontarcela è la giornalista freelance di origini lucane Nancy Porsia, che abbiamo avuto modo di conoscere grazie ai suoi importanti reportage in Libia e non solo, ai suoi esclusivi articoli pubblicati su varie testate giornalistiche nonché ai suoi interventi televisivi di grande spessore.

Il documentario segue il racconto di quasi 5 anni di vita di Nancy in Libia, avvalendosi anche dell’ archivio da lei girato con i suoi operatori

Porsia giunge in Libia nel 2011, immediatamente dopo la cattura e la morte del dittatore libico Mu’ammar Gheddafi. La giornalista è stata per un periodo l’unica giornalista internazionale in Libia, ma questo non la preoccupa, né la intimorisce. La giornalista è lì per raccontare la Libia attraverso la sua gente, e, come lei stessa asserisce nel corso del documentario, sono le microstorie al centro del suo lavoro, che le permettono, e permettono agli utenti, di riflettere una Libia poco raccontata e non comune, una Libia di cui vengono spiegate le dinamiche interne, lontane da quel giornalismo a cui siamo abituati che tenta di spiegare frettolosamente la crisi libica puntando l’attenzione solo sugli sbarchi, ma non sulle basi che li originano e sulle relazioni internazionali. Porsia, è il caso di dirlo, ci mette la faccia. Con coraggio e determinazione porta avanti un lavoro di ricerca serio che parte dal processo di transizione pacifica della Libia dopo Gheddafi, forse mai realmente iniziato e tutt’ora, purtroppo, mera utopia.

Nancy racconta i suoi primi tre mesi di gravidanza in Libia, l’incontro con i civili, gli sviluppi dell’inchiesta da lei condotta. Su questa inchiesta ci sarebbe molto da dire, perché è questa indagine, preziosa e pericolosa, a destare preoccupazione politica in Italia e in Libia, tanto che Porsia, a sua insaputa, è intercettata per circa sei mesi nel 2016, nell’ambito dell’indagine condotta dalla procura di Trapani sui presunti illeciti delle organizzazioni non governative [ONG] che operano ricerca e soccorso in maro al largo delle coste libiche. La donna è l’unica giornalista ad essere intercettata, pur non essendo indagata, e la sua indagine avrà come conseguenza la negazione del visto per la Libia, che prosegue tutt’oggi. È incredibile come una giornalista professionista, che svolge un lavoro di inchiesta difficile e pericoloso, che miri a raccontare semplicemente la verità attraverso le tante sfaccettature della dimensione politica, economica e sociale libica, possa essere considerata pericolosa e scomoda, così da negarle la possibilità di continuare a portare avanti i suoi reportage che ponevano l’accento sui rapporti ambigui tra l’Italia e la Guardia costiera libica.

Jovine e Mariotti raccontano la Libia con gli occhi di Porsia, mettendone in luce la sua personalità, tanto da entrare nella sua vita privata raccontando anche la sua maternità. La cronista si commuove pensando alla Libia, augurandosi di potervi tornare con il suo compagno e suo figlio, e tornare a parlare del popolo libico, della guerra civile in Libia raccontata nelle retrovie, perché è dagli angoli più nascosti che si comincia a raccontare la storia, sul campo.

Telling My Son’s Land è un documentario concreto, diretto, minuzioso, realizzato tra il 2017 e il 2020, che si avvale anche dei filmati di Porsia per raccontare la Libia dopo Gheddafi, un documentario riuscito, certo, ma anche molto sentito e coinvolgente. Da sottolineare anche l’armonia presente nel montaggio di Francesca Sofia Allegra, con Jovine e Mariotti, che riesce a intersecare con armonia gli estratti dai reportage di Porsia con i suoi interventi sulla Libia e i momenti della sua vita privata legata alla sua gravidanza fino alla nascita di suo figlio. Ad emergere è il racconto di una giornalista che scopre la maternità, e che non si arrende ad uno dei suoi desideri, tornare in Libia e raccontarla, come sempre, dalle retrovie.

Gilda Signoretti

TELLING MY SON’S LAND

Regia: Ilaria Jovine, Roberto Mariotti

Con: Nancy Porsia

Sceneggiatura: Ilaria Jovine

Produzione: IljaFilm

Distribuzione: Blue Penguins

Anno: 2021

Durata: 84’

InGenere Cinema

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