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DIABOLIK dei MANETTI BROS

Una delle sfide più ardue da sempre per i cineasti di tutto il mondo è doversi confrontare con un adattamento. Soprattutto quando si mettono le mani su un cult generazionale conosciuto da tutti e amato da molti come Diabolik, che fa parte del nostro immaginario nazionale non soltanto fumettistico. Perfino coloro che non hanno mai sfogliato un numero del ladro più spietato di sempre, lo conoscono bene e hanno delle aspettative in merito.

Non è cosa facile prendere Diabolik, Eva Kant e Ginko, tirarli fuori dalla pagina e portarli sullo schermo; è certo, però, che per affrontare un’operazione simile bisogna attenersi alla lettera alla prima, fondamentale, regola degli adattamenti: tenere in considerazione l’enorme differenza tra i media che ci si trova a dover affrontare, in questo caso il fumetto e il cinema. Per quanto entrambi utilizzino il visivo per raccontare una storia, siamo tutti d’accordo su quanto i meccanismi di racconto siano diametralmente opposti: la pagina, il disegno e dunque la staticità per il primo, l’azione, il movimento e dunque la dinamicità per il secondo.

Pare, invece, che i Manetti Bros nel loro adattamento del fumetto ideato dalle sorelle Giussani non abbiano tenuto in considerazione questa sostanziale regola. È come se avessero voluto trascinare un fumetto sul grande schermo, senza preoccuparsi di adattare – appunto – l’opera per un nuovo mezzo di comunicazione, portando al Cinema due ore e un quarto di fissità, staticità, mancanza di azione e personaggi disegnati.

Ma andiamo con ordine.

Il film, prodotto da Mompracem e Rai Cinema, è liberamente ispirato al terzo albo della serie originale, L’arresto di Diabolik: il momento in cui Diabolik incontra Eva Kant e con lei al suo fianco riuscirà a considerarsi finalmente completo.

 

La pellicola ha la capacità, nei primi dieci minuti, di tradire già il suo pubblico. Dopo un avvincente teaser di inseguimento tra Diabolik [Luca Marinelli] alla guida della sua famosa Jaguar, e l’ispettore Ginko [Valerio Mastandrea] che, beffato, non riesce ad acciuffarlo, si piomba in una piattezza sconvolgente che nulla ha a che fare con quei primi cinque minuti al cardiopalma e che da lì mai più torna a salire. La pellicola diretta dai Manetti Bros è un film a calare, che parte in alto e prosegue in una drammatica e costante discesa verso il basso, scevra di climax o turning point. Nessuno sconvolgimento di trama, nessuna scena da ricordare, niente per cui si riesca – anche con tutte le buone intenzioni – a farsi battere il cuore. Tutto è prevedibile, scontato, già compreso: davvero qualcuno ha creduto che quella scena – quando lo vedrete capirete di cosa stiamo parlando – stesse accadendo per davvero? Una sceneggiatura di per sé fiacca è inoltre massacrata da dialoghi improbabili che, seppur comprensibili per un fumetto, tanto hanno il sapore di una telenovela stile Occhi del Cuore se visti al Cinema.

Diabolik racconta l’azione invece che mostrarla, spiega coi dialoghi invece di farci assistere agli avvenimenti: certo, in un fumetto è così – con le parole – che si veicolano i contenuti di una storia. Ma al Cinema?

Ciliegina sulla torta: una scelta di recitazione assolutamente incomprensibile, dettata certamente da una direzione registica poiché trasversale a tutto il cast. Una fissità robotica, una non-emozionalità voluta, una non-interpretazione completamente surreale e respingente. L’unico ad essere riuscito a trovare una chiave di naturalezza è Valerio Mastandrea, che riesce a regalarci un Ginko quantomeno credibile. Risultato: ci siamo immedesimati in lui e abbiamo tifato fino alla fine affinché riuscisse ad acciuffare quell’insopportabile Diabolik. Oltre alla capacità attoriale, questo avviene certamente perché il personaggio dell’ispettore è l’unico ad avere una motivazione comprensibile che lo spinge ad agire. Diabolik ed Eva Kant sembrano marionette trainate dal vento senza alcuna necessità. Perché si comportano in quel modo? Qual è la loro urgenza? Cosa desiderano? In cosa credono?

Paradossalmente, i personaggi meglio riusciti sono quelli minori, interpretati da Claudia Gerini e Giovanni Calcagno, poiché evidentemente i loro piccoli ruoli non avevano bisogno di aderire a una scelta registica recitativa e risultano chiarissime le loro motivazioni.

Non si salva nemmeno la regia dei fratelli Manetti, troppo spesso sciatta, incerta, poco centrata, confusionaria. C’è da dirlo: l’estetica non è mai stata un loro punto di forza, né una loro necessità autoriale, ma nonostante questo hanno sempre fatto del loro modus un linguaggio che ha in sé una notevole potenza. Questa volta, però, purtroppo non riescono a centrare il bersaglio.

Unica nota di merito le musiche di Pivio e Aldo de Scalzi, che ci regalano una colonna sonora dal sapore retrò estremamente efficace, talmente tanto da sovrastare il prodotto audiovisivo ed emergere luminosa e accecante. Lo stesso vale per i due pezzi composti da Manuel Agnelli.

Insomma, con grande dispiacere ed enorme delusione ci viene da chiederci: cosa resta di Diabolik?

Niente più che un film bidimensionale, proprio come fosse stampato sulla carta.

Lasciateci lanciare una provocazione: sarà forse per tutto questo che Luca Marinelli non interpreterà il protagonista dei prossimi due sequel del film già in lavorazione?

Irene Scialanca

DIABOLIK

Regia: Manetti Bros.

Con: Luca Marinelli, Miriam Leone, Valerio Mastandrea, Alessandro Roia, Serena Rossi

Uscita in sala in Italia: giovedì 16 dicembre 2021

Sceneggiatura: Michelangelo La Neve, Manetti Bros.

Produzione: Mompracem e Rai Cinema

Distribuzione: 01 Distribution

Anno: 2021

Durata: 133’

InGenere Cinema

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