Dove eravamo rimasti, cari Amici di InGenereCinema.com: archiviata la parte più smaccatamente comica [che potete trovare qui, qualora vi fosse sfuggita] procediamo pure il nostro viaggio da “incubo” attraverso le pellicole nostrane arrivate nelle sale in questo periodo di festa. Lo facciamo con due titoli interessanti nella loro concezione, un po’ meno nella loro realizzazione, ma che certamente rappresentano un tentativo di voler proporre cinema di prima fascia. Mainstream e di intrattenimento, badate bene, ma pur sempre di qualità. Ci saranno riusciti a rendere questo Nightmare Before Christmas meno spaventoso? Non perdiamo altro tempo e andiamo a scoprirlo insieme.
Sigla!
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SETTE DONE E UN MISTERO di Alessandro Genovesi
Nel 2002 Francois Ozon adatta e dirige per il cinema un testo teatrale di Robert Thomas di fine anni ’50. Il risultato è 8 donne un mistero, un perverso e velenoso film nel quale alcune tra le migliori attrice d’oltralpe si destreggiavano tra sospetti, ambiguità sessuali e numeri musicali sopra le righe. Forse, non il migliore tra i lavori di questo autore che, tuttavia, ebbe un discreto successo. Ora, a quasi vent’anni dalla sua uscita, il nostro Alessandro Genovesi ne realizza un remake molto diverso, ambientato negli anni ’30 e davvero troppo esile e naif.
7 donne e un mistero segue le ore successive all’omicidio di un uomo, un imprenditore con moglie e figlie, ucciso misteriosamente nella sua casa. Nella villa del morto sono riunite tutte le donne che, in un modo o nell’altro, sono appartenute alla sua vita e che invece di festeggiare la Vigilia di Natale, come previsto, si ritrovano con un omicidio da risolvere.
Tutte sono sospettate e, mentre ognuna cerca di buttare fango sulle altre, rivelando i segreti altrui, sono costrette ad affrontare situazioni che fino ad allora non avevano voluto mettere in luce.
Se Ozon è stato attratto dalla ferocia e dalla spregiudicatezza antiborghese di questo microcosmo femminile, Genovese, preferisce alleggerire i toni facendo emergere maggiormente l’aspetto giallistico alla Agata Christie dal testo scritto da Thomas. Prova a costruire un’impalcatura di sospetti e accuse, ma senza appesantire mai quello spirito lieve che pervade tutto il suo racconto, nonostante ci sia un morto ammazzato e sette potenziali assassine. Il risultato è senza dubbio un film più alla portata di un pubblico generalista che vuole passare un pomeriggio di festa al cinema alle prese con un intreccio semplice, scenografie ricchissime e barocche, nonché acconciature e costumi anni 30′ che acquistano un ruolo di primo piano nel racconto. Ciò che proprio non convince, di un’operazione tutta sommato gradevole, è l’incapacità di creare il minimo della tensione attorno a questi personaggi che nascondono verità e segreti tali da rappresentare moventi per un omicidio. Ma soprattutto, una risoluzione del giallo a dir poco farsesca. Difatti, ci appare davvero incomprensibile la scelta ingenua di indicare questa storia come una sorta d’inno alla solidarietà femminile. Quello di Thomas è un testo decisamente misogino nel quale otto donne si mostrano meschine, perverse ed egoiste e l’adattamento di Genovese non fa differenza in questo. È dunque difficile immaginare un patto di solidarietà tra queste donne tanto arriviste e ciniche, a meno che non sia per motivi di interesse. Detto questo, l’augurio è di continuare a sperimentare operazioni simili per il nostro cinema, cercando di avere ancora più coraggio realizzando script originali con personaggi femminili protagonisti.
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Perfetti sconosciuti è stato senza timore di smentita il più significativo successo del nostro cinema degli ultimi anni. Uscito nel 2016, ha ottenuto più di sedici milioni d’incasso in Italia, due David di Donatello, vendite internazionali da record e poi una dozzina di rifacimenti in tutto il Mondo. A memoria di chi scrive, nessun altro nostro film può vantare la stessa vita commerciale. Per Paolo Genovese, regista di un film così fortunato, si è trattato di un vero turning point per la sua carriera che gli ha concesso di fare qualsiasi progetto avesse intenzione di realizzare. Nessun compromesso o particolare sforzo per finanziare questo o quell’altro soggetto, ma da grandi poteri derivano grandi responsabilità, come sapete bene, cari Amici di InGenereCinema.com. Così, dopo Perfetti sconosciuti, sono seguiti The Place e la produzione della serie tv tratta da Tutta colpa di Freud. Nulla paragonabile al successo che Genovese aveva sperimentato nel 2016, allora nel ’19 il regista ci riprova ancora con Supereroi che, causa Covid, ha visto il buio della sala solo in questi giorni.
Supereroi, segue la storia due giovani innamorati, Marco e Anna: Lei è una persona creativa e impulsiva, fumettista che detesta ogni tipo di convenzione. Lui, invece, è un insegnante di fisica, fermamente convinto che ogni reazione sia determinata da un’azione e che quindi anche nella vita tutto ciò che accade può essere spiegato. I due cercano di sopravvivere al tempo che passa e che spesso porta a galla litigi, vecchi segreti e qualche bugia.
Vent’anni di vita insieme raccontati come due enormi flashback che si alternano al fine di dimostrare come le coppie che resistono al logorante trascorrere del tempo siano formate da veri supereroi, che permettono loro di nuotare contro corrente per salvare il loro amore.
Genovese torna sui temi a lui cari come lo scorrere del tempo e la difficoltà di comunicazione negli affetti, abbandonando quella solita estetica da commercial tipica del suo cinema, esplorando gli effetti dell’incedere del tempo su questa coppia male assortita circoscrivendo il loro divenire in una struttura che procede con un convulso su e giù tra passato e presente.
Affascinante ambizione narrativa, interessante decostruzione del procedere temporale e ammirevole tentativo di volersi affrancare dalle commedie sentimentalistiche sia nel contenuto che nella forma. Sfortunatamente, ciò che non ha funzionato è una ostinata letterarietà asfissiante e tremendamente non cinematografica. Più che allo sviluppo degli eventi assistiamo a una mera intenzione che non provoca mai azione, ma al contrario, a una inerzia colma di suggestione e poco altro. Il silenzio, a volte, riesce a comunicare più nettamente emozioni, sofferenze o passioni rispetto a mille parole. Lezione difficile da apprendere a quanto pare.
Paolo Gaudio