Carly [Carly Pope] porta sulle spalle il peso di un drammatico trauma che l’ha allontanata per sempre da sua madre, rea di avere assassinato gli ospiti di una casa di cura.
Quando la donna cade in uno stato comatoso irreversibile, il misterioso dottor Daniel riesce a contattare la giovane per raccontarle quanto sta accadendo alla madre. Lanciato l’amo e attirata Carly all’interno di una struttura medica privata e all’avanguardia, il dottore inizierà a svelare le sue carte, pur mantenendo nascosti i suoi reali intenti quasi fino alla chiusa del film. Sia come sia, in quella clinica sono stati ideati e messi in sperimentazione dei macchinari capaci di far interagire persone coscienti e altre in stato di semi-coscienza. Questo grazie alla creazione di un habitat virtuale in cui i malati e i loro interlocutori possano interagire attraverso avatar di due tipi: delle perfette riproduzioni frutto di scansioni, per i sani; mentre degli avatar che riproducono la migliore delle versioni passate di sé, per gli ammalati.
Il medico riferisce a Carly che la madre rifiuta di comunicare con il personale medico all’interno della simulazione, e che ha espressamente richiesto di poter parlare con sua figlia. La giovane, pur piena di dubbi, decide di accettare il viaggio fantascientifico, perché vuole scaricare la rabbia accumulata da anni su quella madre che la abbandonò quando era una ragazzina, dopo essersi trasformata in una pazza squilibrata.
Che in un mondo ideato e raccontato da Neill Blomkamp la tecnologia futuribile [incredibile ma potenzialmente vera] abbia un ruolo centrale non è una novità. Lo abbiamo conosciuto con il cult di fantascienza sociale District 9 [2009] e anche se Elysium [2013] e Humandroid [2015] non avevano la stessa forza del primo potentissimo film, la sua strada sembrava segnata. Uno sci-fi moderno, che mescola ad alieni e robot una storia non troppo dissimile da quella di tante periferie e sobborghi degradati di grandi città. Ma su questa parabola finora abbastanza leggibile e ordinata si inserisce un titolo come Demonic che la fa impazzire e la dirotta decisamente verso territori altri, finora inesplorati dall’autore sudafricano.
Chiariamo subito, nemmeno il suo quarto lungometraggio segna una nuova ascesa e, probabilmente, District 9 rimarrà l’unico esempio carico di luccicanza della sua filmografia, ma qualcosa di interessante in Demonic possiamo trovarlo. Innanzitutto perché si tratta della prima incursione del regista nel territorio oscuro dell’horror [come si può immaginare nel filone demoniaco/ersorcistico]: la pluriomicida finita in coma nasconde probabilmente dentro di sé una creatura infernale che l’ha piegata al suo oscuro volere. Ma se così fosse, perché l’equipe medica della strana clinica è così interessata a far sì che la figlia della donna posseduta entri in contatto con l’entità che anni prima le ha sottratto la figura materna?
I punti a favore che ci convincono a consigliarvi una visione di Demonic sono, innanzitutto, l’arditezza di Blomkamp nel decidere di uscire fuori da una comfort zone così specifica e di farlo, poi, proprio durante il primo e duro lockdown dovuto alla pandemia. In secondo luogo [e di conseguenza] l’essere riuscito a proporre un suo modo di intendere la possessione diabolica, sfruttando solo parzialmente i cliché del Genere, per ibridarli con il suo interesse più forte in tutto il baraccone tirato su. Quale? Ovviamente qualcosa di puramente legato alla sua amata tecnologia: riuscire a girare intere sequenze con le immagini volumetriche, sequenze di fotografie scattate da 260 macchine contemporaneamente, che qui diventano il mondo “altro”, virtuale o onirico, in cui vivi e “sospesi” possono incontrarsi e parlare.
Il cuore di Demonic batte quindi un ritmo sperimentale, indipendente e questo è un altro dei punti a favore, l’unico che probabilmente lo porta a condivide qualcosa con District 9, ma anche [per alcune atmosfere e per l’inserimento di una tecnologia in qualche modo diegetica] con cult indie-horror come The Blair Witch Project e Paranormal Activity, titoli a cui il regista deve aver per forza guardato durante la creazione del suo horror fantascientifico, anche se per l’effettivo utilizzo della macchina all’interno della trama potremmo trovarci molto più vicini al The Cell di Tarsem Singh.
Ciò che funziona molto meno è la svolta action abortita che fa da preludio al finale, ma soprattutto il mancato sviluppo della parte orrorifica. Non parliamo di assenza di scene sanguinolente o spaventose, a non trovare concretezza è il fine stesso [del tutto assente] del demone, che ha una forma legata a una precisa scena [tra l’altro assai riuscita] del passato traumatico di madre e figlia; sembra avere un legame strutturale e indissolubile con questa famiglia, ma rimane sempre troppo nebbioso e sospeso. Come se il regista avesse in mano tutti i fili per muovere il suo pupazzo spaventoso, ma non padroneggiasse ancora le regole [di Genere] per farlo nel modo più funzionale.
Il film, proiettato in anteprima italiana a Roma nel novembre 2021 durante la seconda edizione dell’Heroes International Film Festival, arriva in Blu-Ray con la sempre attenta Midnight Factory di Koch Media. L’edizione limited, sempre assai curata nella confezione, presenta il solito box di cartonato che contiene l’amaray con il disco. Dentro l’utile booklet dedicato al film, curato da Nocturno Cinema, ma purtroppo fra gli extra solo il trailer.
Molto buona la qualità dell’immagine, che non tradisce durante le lunghe sequenze davvero oscure del finale o in quelle fotografate attraverso i colori accesi dei visori notturni.
Luca Ruocco
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DEMONIC
Voto film:
Voto Blu-Ray:
Regia: Neill Blomkamp
Con: Carly Pope, Chris William Martin, Michael J. Rogers, Nathalie Boltt, Terry Chen
Formato: 16:9 – 2.00:1
Audio: Italiano DTS-HD Master Audio 5.1; Inglese DTS-HD Master Audio 5.1
Extra: Trailer
Distribuzione: Midnight Factory – Koch Media [www.midnightfactory.it]