Il 28 marzo uscirà nelle sale italiane Dio è in pausa pranzo, il nuovo film del regista Michele Coppini prodotto da Officine Papavero. Una commedia anticomplottista sul tema del Covid-19, un Genere innovativo che lo stesso regista ha definito drammenziale: un mix tra la commedia, il dramma e il nostro tanto amato horror.
In Dio è in pausa pranzo, ovviamente, non si ride della pandemia, ma della follia di alcune teorie complottiste.
Il protagonista è Ubaldo Lumaconi, un quarantenne che, per paura di essere infettato dagli anziani genitori, decide di rinchiudersi in una piccola stanza della loro abitazione, cercando di evitare il più possibile ogni contatto con loro e col mondo esterno. Durante questa specie di quarantena forzata, elabora nella sua mente una teoria bizzarra, che alimenterà sempre di più, informandosi continuamente sul web. Una teoria che vedrà tra i protagonisti anche gli zombie…
Abbiamo avuto il piacere di fare due chiacchiere con Michele Coppini, approfondendo il suo ultimo lavoro.
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[Irene Scialanca]: Perché scegliere di parodiare proprio il Genere Horror per raccontare la pandemia da Covid-19? Da dove è nata l’idea?
[Michele Coppini]: Perché prima di tutto io sono un regista horror mancato, un quasi George Romero di Scandicci. Ho sempre avuto questo rapporto ambiguo con il cinema, perché ho sposato la commedia, ma da anni ho una relazione extraconiugale con l’horror. Quest’ultima però è una relazione solo carnale, la tengo nascosta, perché è la commedia che mi fa davvero vivere bene [nonostante la tradisca]. La pandemia ha scosso in tutti noi una paura tremenda non solo nel futuro, ma anche lo stesso presente è stato messo in dubbio. Quindi ho pensato: o sfrutto questa occasione adesso, per confessare tutto alla commedia, sperando in un suo perdono, oppure lascio stare e accetto il fatto che non girerò mai più niente che si avvicini a tale. Poi, un giorno, guidando in autostrada, entrato in galleria di colpo sparisce la stazione radio che stavo ascoltando. Non trovavo più nulla, neanche Isoradio. Girando la ruzzola a vuoto, finalmente sento una voce, è lo speaker di Radio Maria. In quei pochi secondi, prima del ritorno alla luce, Padre Livio [ho saputo poi essere il direttore della radio] dice una cosa del genere: questa pandemia che stiamo vivendo è un progetto criminale ideato dai potenti del Pianeta per eliminare chi non sta al loro gioco e per trasformarci tutti in zombie! «Dio bono» ho esclamato «questi discorsi sono talmente folli da farci un film comico!» Ed ecco qui da dove è nata l’idea. Questa dichiarazione è stata successivamente ripresa un po’ da tutti i giornali e ha fatto scalpore, ma io l’ho sentita in diretta e per caso. È quindi stato un segnale divino? Senti come parlo, sembro Padre Livio…
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[IS]: Parlando di tematiche delicate, che ci hanno coinvolto tutti personalmente e continuano a coinvolgerci, si è trovato in difficoltà nella scelta della troupe? Ha ricevuto dei rifiuti da parte di qualcuno che non si sentiva in linea con le idee veicolate dal film?
[MC]: Sarò sincero. Fra cast e troupe, qualcuno che la pensava diversamente rispetto a scienziati e virologi c’è stato. Ma nessuno di loro ha mai dato problemi, nessuno era fomentato, anzi. Tutti hanno sempre rispettato sul set le regole del protocollo Covid. Nelle pause poi, il tema, è stato anche argomento di discussione; invece di parlare di calcio, che in quelle settimane era fermo, abbiamo dibattuto sulla pandemia, sui vaccini che sarebbero arrivati da lì a poco ecc…
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[IS]: Se non avesse potuto scegliere l’Horror, quale altro Genere avrebbe scelto di usare per parodiare la pandemia e perché?
[MC]: Sempre qualcosa di estremo, di esagerato. Forse la fantascienza. Ubaldo Lumaconi che, invece di essere convinto che il virus ci trasformerà tutti quanti in zombie, pensa che diventeremo tutti dei Godzilla. Un pianeta dominato da lucertoloni giganti che riporterà la Terra ai tempi della Preistoria e dei dinosauri. Però poi, dopo aver fatto due conti per gli effetti speciali, sarei comunque tornato all’idea degli zombie…
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[IS]: Ci può spiegare meglio la definizione “drammenziale” che lei usa per descrivere il suo film?
[MC]: Ho coniato questo termine perché credo di aver fatto una cosa mai fatta prima da nessuno, e cioè l’aver unito, nello stesso film, due generi che, forse, solo un pazzo poteva fondere: la commedia demenziale e il drammatico. In Italia siamo stati maestri indiscussi nell’aver unito commedia e dramma, così da dar vita alla commedia all’italiana, ma nessuno si era mai spinto così tanto con il demenziale. Ci tengo però a precisare che si ride molto dei complottisti, dei negazionisti e della fantasia di certi personaggi, non della pandemia che ha causato milioni di morti.
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[IS]: Quanto è complicato, per una produzione indipendente, girare tenendo conto delle restrizioni e le misure da rispettare sul set imposte dal Covid-19?
[MC]: Già era difficile girare un film indipendente, figuriamoci durante una pandemia mondiale! Che sono pazzo l’ho già detto prima, ma qui lo ribadisco. Però lo rifarei, perché ne è valsa la pena. Nel nostro piccolo è stato un modo per rimettere in moto il settore, ridare speranza alle persone, regalare una risata al pubblico. E se vuole sapere qual è stata la cosa più stressante di tutto il periodo delle riprese, è stato fare in continuazione i test sierologici, sia perché ti dovevano bucare il dito e io ho talmente paura del sangue che quasi mi veniva da svenire, sia perché avevi sempre paura che qualcuno risultasse positivo. A ogni risultato negativo, si alzava in aria un urlo da stadio. E così è stato fino alla fine degli Europei… ehm, delle riprese.
Irene Scialanca
[Roma, marzo 2022]