Miglior Spettacolo della Biennale 2020, torna al Teatro Vascello di Roma Glory Wall, scritto e diretto dal giovanissimo Leonardo Manzan. Un’esperienza teatrale coinvolgente, estrema e riuscita che fa riflettere sull’arte, la libertà di espressione e l’autocensura.
Una parete di dodici metri separa letteralmente il palcoscenico dalla platea aumentando la distanza formale tra chi racconta e coloro che ascoltano. Di fronte a questo muro si prova un senso di esclusione e di distanza che mette a disagio, spiazza e confonde. Finché questa enorme barriera bianca non prende ad animarsi, diventando, di volta in volta, lo scenario di paradossi intelligenti, riflessioni argute, momenti onirici, azioni provocatorie e coreografie giocose e ironiche. Una costruzione tagliente e divertente con cui affrontare e comprendere il ruolo della censura e del potere in un Paese che ha abolito la censura [almeno per legge] e ha tolto ogni potere all’arte e in particolare al teatro.
Scritto insieme a Rocco Placidi, il lavoro di Manzan prova ad abbattere quella distanza aprendo dei buchi su quel muro, dai quali fuoriusciranno mani e braccia o s’intravedranno labbra e bocche e con la voce di Paola Giannini argomenteranno una critica al teatro contemporaneo e alla sua incapacità di esprimere un pensiero libero, nonostante l’assenza del censore.
Così, Glory Wall appare come uno spettacolo sul teatro e sulla sua attuale necessità di autocensura, dalla quale dipende e non può liberarsi. In assenza di un potere da combattere, si dà sfogo a una stagnante autoreferenzialità che fa appassire qualsiasi cosa, specialmente il ricordo di coloro che per la libertà hanno dovuto lottare e addirittura morire.
Manzan, dunque, attacca e provoca lo spettatore chiedendo non solo la sua attenzione, ma anche una partecipazione attiva a ciò che avviene. Al pubblico, difatti, viene chiesto un accendino per accendere una sigaretta, di raccogliere un dizionario nel quale leggere la definizione di censura, perfino di interpretare dalla platea un dialogo tra de Sade, Pasolini, Giordano Bruno e Gesù. Per concludere, infine, con un karaoke nichilista di Felicità di Al Bano e Romina, anche loro censurati in Ucraina e quindi degni di comparire in questa apologia irriverente del libero pensiero.
Glory Wall sembra germogliare da quel modo di intendere il teatro di Rezza e Mastrella, dalla stessa volontà di affrontare grandi temi con un tocco dissacrante e ironico che intrattiene fino alla risata.
Dichiarare ciò che non è facile dire e farlo con un linguaggio leggero, ma mai superficiale che riesce a tenere insieme gli opposti, l’alto e il basso. Leonardo Manzan ci riesce con la sua intelligenza e capacità critica di osservazione, che rende questo spettacolo un’esperienza appagante e arricchente. Tuttavia, un piccolo limite c’è: quando il teatro si limita a dimostrare, senza far vivere attraverso il racconto e i suoi personaggi ciò che intende veicolare, si può incorrere in un rischio ancora più pericoloso dell’autocensura, ovvero l’assenza di creazione artistica. Il gesto nichilista di affermare i paradossi e le contraddizioni del nostro tempo non possono essere l’unico senso sul quale poggiare la propria ricerca espressiva, ma solo l’osservatorio da cui raccontare il mondo e le creature che lo abitano.
Paolo Gaudio
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GLORY WALL
Regia: Leonardo Manzan
Con: Leonardo Manzan, Rocco Placidi, Paola Giannini, Giulia Mancini
Scritto da: Leonardo Manzan, Rocco Placidi
Scenografie: Giuseppe Stellato
Light Designer: Paride Donatelli
Sound Designer: Filippo Lilli
Produzione: La Fabbrica dell’Attore -Teatro Vascello, Elledieffe