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ELVIS di Baz Luhrmann

Mancano pochi giorni all’uscita in sala di uno dei film più attesi di questa stagione: Elvis di Baz Luhrmann [Il Grande Gatsby, Moulin Rouge].

Elvis, nelle sale dal 22 giugno e distribuito Warner Bros. Pictures, è un biopic musicale che vede coprotagonisti due attori, Tom Hanks e Austin Butler, e che racconta la vita e scalata al successo di una delle star musicali più famose e amate di sempre a livello internazionale, Elvis Presley, ma anche l’intuito e le ombre del suo manager, il colonnello Tom Parker.

Luhrmann parte dall’infanzia di Elvis per spiegare le basi musicali [e il rapimento intellettivo e spirituale che ha tanto di mistico] di questo straordinario artista, nato nello stato del Mississippi nel 1935, cresciuto nei “quartieri dei neri” dove viveva la sua famiglia in difficoltà economica, e abituato ad ascoltare la musica blues, jazz, e gospel, a quel tempo generi non indicati per i bianchi, visto che  – per motivi puramente razziali e non derivanti da un fondamento scientifico, storico e culturale – la musica veniva considerata come un’ arte che segnava una separazione tra i bianchi e le minoranze. Proprio il rock, di cui Elvis è stato uno dei primi e forse il miglior rappresentante, sarà il genere musicale che più di tutti abbatté queste distanze, fino ad arrivare già, intorno agli anni ’60, ad una fusione tra musica bianca e musica nera.

La vita musicale di Elvis inizia proprio dalle frequentazioni con gli artisti di colore, con il gospel in chiesa, musica suonata e cantata negli intermezzi durante le funzioni religiose, che inebriava i fedeli [compreso lo stesso Elvis]. A tal proposito, suggestiva è proprio la sequenza che vede Elvis entrare in uno stato di estasi.

Il successo di Presley si deve, tra le altre cose, proprio all’abbattimento di pregiudizi musicali, facendo della sua carriera musicale un innesto di Generi musicali – “di bianchi e neri” – che misero subito d’accordo il pubblico più giovane, trovando una forte resistenza da parte di una certa parte di politica e non solo, che vedeva di cattivo occhio questo ragazzo che ancheggiava ad ogni esibizione facendo letteralmente impazzire le sue fan, per ricordare una battura del colonnello Tom Parker, impresario teatrale e imbonitore olandese trapiantato negli USA, che intuì subito le potenzialità artistiche del giovane Elvis, così da diventare suo manager nel 1955, riuscendo a ottenere un importante contratto con la casa discografica RCA.

Da quel momento la vita artistica di Elvis fu un crescendo di successi, fama, soldi, lusso, sempre più conteso dalle case discografiche e dalle case cinematografiche. Sì, perché il cantante, all’apice della sua carriera, interpretò anche diversi film, non molto apprezzati dalla critica, che, come viene ribadito nel film, venivano girati con una velocità tale da risultare sempre più scadenti, tanto che negli anni ’70 Elvis aveva preso parte a ben ventisette pellicole, partendo dal western fino alle commedie.

Il suo successo è probabilmente uno dei più incredibili e senza precedenti nella storia dello spettacolo a livello mondiale, tanto che Parker decise di sfruttare il nome di Elvis per produrre gadget con il suo nome. Se la ricchezza gli aveva permesso di aiutare la sua famiglia a riscattarsi dal passato di povertà, dall’altro ne sanciva la sua “perdizione”, mostrandone a poco a poco tutte le debolezze, ingigantite, fino a fagli perdere la sua personalità e il contatto con la realtà.

Il film affianca, alla scalata al successo della star, il suo rapporto con il colonello: un uomo subdolo che spingerà il ragazzo lungo la scalata al successo ma che, una volta giunti all’apice, sarà co-responsabile della sua crisi spirituale, fisica e finanziaria.

Proprio questo rapporto, che possiamo definire obbligato, è alla base del film, e Luhrmann [che firma la sceneggiatura con Sam Bromell, Craig Pearce e Jeremy Doner] è molto bravo a mescolare insieme passato, presente e futuro di Elvis, mostrandoci sempre l’altra faccia della medaglia non solo di Parker ma di un mondo, quello dello spettacolo, dove è proprio il mito, in questo caso Presley, ad essere vittima del sistema, impossibilitato a prendere decisioni che invece subisce, finendo per annullare parte della sua vita, quella privata.

Elvis è un film importante, diretto in maniera impeccabile e interpretato egregiamente da Hanks e dal giovane Butler [che certamente con questo film ha avuto maggiore visibilità, e la cui interpretazione è molto fisica e riuscita], ma anche dagli altri attori che fanno da cornice alla storia, come Olivia DeJonge, che interpreta la moglie di Elvis, Priscilla Presley, o Helen Thomson, nei panni della madre del cantante.

Queste due figure femminili non sono affatto secondarie, ma anzi rappresentano una bussola per Elvis, figlio unico, sopravvissuto alla morte durante il parto del fratello gemello, amato in modo esclusivo da una madre spaventata dal suo successo e da una moglie che doveva convivere con le sue relazioni extraconiugali e con le sue crisi. L’amore assoluto per il suo pubblico, forse, è stata la vera colpa di Elvis, come suggerisce Parker in una battuta del film.

Da sottolineare, però, che proprio l’esaltazione della star, il suo essere considerato una divinità, sottragga molto all’uomo. Le sue fragilità infatti, non sono però veramente approfondite, ma rimangono superficiali, per essere espresse soltanto sul finale in cui un Elvis quarantenne, consapevole di quanto abbia avuto dalla vita ma anche di quanto la sua fama gli abbia sottratto, inizia a congedarsi dal mondo.

La lunga durata, se da un lato incanta lo spettatore, perché gli consente di rivivere gli spettacoli musicali di Elvis e di ballare e cantare anche seduto sulle poltrone del cinema, dall’altro potrebbe risultare a un certo punto difficile da sostenere, appesantita anche dai dialoghi tra Elvis e Parker che non fanno altro che sottolineare ancora una volta la truffa [morale, economica e sentimentale] di cui il Re del Rock è vittima.

Da sottolineare una fotografia molto curata, abbinata ad un montaggio abile che cerca di non perdere mai il ritmo. Curioso vedere Hanks nei panni di un uomo molto anziano, grazie ad un trucco mai eccessivo ma comunque vistoso e il più possibile realista.

Gilda Signoretti

ELVIS

Regia: Baz Luhrmann

Con: Tom Hanks, Austin Butler, Olivia DeJonge, Helen Thomson

Uscita in sala in Italia: mercoledì 22 giugno 2022

Sceneggiatura: Baz Luhrmann, Sam Bromell, Craig Pearce, Jeremy Doner

Produzione: Bazmark Films, Roadshow Entertainment, The Jackal Group, Whalerock Industries

Distribuzione: Warner Bros. Pictures

Anno: 2022

Durata: 159’

InGenere Cinema

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