Raffaele Picchio, regista di Morituris, nel 2020 torna alla regia a quattro anni dal suo The Blind King, con Curse of the Blind Dead. Una storia autoriale interessante la sua e non solo per quanto riguarda la qualità tecnico-creativa dei lungometraggi firmati.
Se Morituris è stato, infatti, uno dei titoli cardine della prima ondata di indie horror italiani contemporanei, grazie anche a uno storico diniego censura che ne vietò la distribuzione nelle sale italiane, con Curse of the Blind Dead, ultimato nel 2020 e ancora non distribuito, pare che Picchio continui a vivere in una sorta di realtà sospesa, di invisibilità di certo non motivata dalla scarsa qualità dei suoi lavori, che lo lascia bloccato in una situazione che per certi versi ne accresce il fascino – usiamo un temine inappropriato che siamo sicuri non piacerà nemmeno a lui – da “autore maledetto”.
L’horror di Picchio si muove lungo una linea rossa che unisce per ora tre titoli profondamente differenti tra loro, accomunati però dal senso stesso della sua ricerca, del suo comunicare. Si tratta in tutti e tre i casi di un orrore che sfocia nel paranormale, nello slasher o nel torture, ma che ha sempre radici salde nel mondo reale. In Morituris lo script di Gianluigi Perrone guardava dritto negli occhi l’orrore del fatti del Circeo e forse proprio questo, la scelta di declinare in nero in maniera così schietta fatti già così macabri, mandò in tilt un ufficio censura cieco [aggettivo scelto non a caso].
Con The Blind King Picchio lavora sull’elaborazione del lutto ma racconta anche una nera ghost story; il film è profondamente differente dai ritmi e dalla messa in scena del lavoro precedente, più freddo e cerebrale, il ponte comunicativo-emozionale col pubblico regge meno, pur presentando una situazione più affine all’horror mainstream e meno extreme. Quel che rimane immutabile è proprio la messa in scena di un orrore [quello reale prima ancora di quello “d’intrattenimento] cupo e profondo, senza via d’uscita e che non fa sconti.
Curse of the Blind Dead, oltre a continuare a camminare sulla medesima via, eredita qualcosa da entrambi i suoi predecessori: da Morituris proprio l’entrata in scena, nel mondo degli uomini, di creature ultraterrene al di sopra di tutto, ma decisamente votati alla violenza e alla spietatezza. Da The Blind King i toni cupi di messa in scena e trama, il racconto di percorsi padre/figlia e un lavoro di script [portato avanti insieme al nostro Lorenzo Paviano] apprezzabile e tecnico, ma che probabilmente non centra a pieno l’intersezione tra reale e irreale, tra normale e paranormale, in questo caso perdendo un po’ il fuoco del racconto proprio dal momento dell’ingresso in scena delle creature figliate dalla saga di de Ossorio.
Ed eccoci arrivati al punto che fa di Curse of the Blind Dead uno dei titoli più attesi del nostro panorama indie: prodotto da Makarfa Film, che ne curerà anche la distribuzione, il film di Picchio si allaccia proprio ai film spagnoli che hanno reso celebre Armando de Ossorio, quei resuscitati ciechi [ciechi come il King del film precedente del regista romano] che per certi versi reinventano – affidandolo a dei templari maledetti – il ruolo degli ormai altrettanto celebri gladiatori dello slasher indipendente, anche perché ancora una volta i ritornanti non si tratterranno dallo scatenare una carneficina [c’è anche un’eccellente distruzione di una testa a mani nude].
Interessante la scansione temporale del film scritto da Picchio e Paviano, dove non c’è spazio per il presente. L’orrore viene declinato in un passato remoto in cui ci vengono mostrati i malvagi templari intenti nella tortura di una partoriente e in un rito che prevede il sacrificio del suo piccolo, per poi venire essi stessi uccisi dalla popolazione del posto. Dopo una minacciosa maledizione che assicura un loro ritorno dall’inferno, il racconto riprende la storia in un futuro post-apocalittico. In un mondo dove un enorme conflitto ha spazzato via oltre la metà degli essere umani, un padre e una figlia cercano di sopravvivere, ma arrivano nel centro di sopravvissuti sbagliato imbattendosi in una congrega dedica ad un culto oscuro che in qualche modo sembra essere legato proprio ai fatti raccontati nell’incipit.
Davvero originale l’idea di voler calare il classico [i blind dead] in un habitat quasi da sci-fi; la cosa permette tra l’altro a Picchio di amplificare proprio quel senso di distruzione e di smarrimento che è proprio della sua poetica orrorifica. Molto interessante è anche il rapporto tra nascita e morte [con la resurrezione e la reincarnazione che fanno da specchio deformante] che lega stretti inizio e fine della storia, bloccando personaggi e spettatori in un violento cerchio magico.
Meno riuscita, dicevamo, lo sviluppo della seconda parte del film, dove l’ingresso in scena dei tanto attesi templari ritornanti si fa attendere [ma rimane nel cuore, grazie agli effetti di Carlo Diamantini], ma rappresenta anche una sorta di congelamento, di stasi, nello sviluppo di personaggi e situazioni, che iniziano a distanziarsi dall’interesse di chi guarda e a lasciare interrogativi.
Da recuperare assolutamente… attendiamo notizie da Makarfa!
Luca Ruocco
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CURSE OF THE BLIND DEAD
Regia: Raffaele Picchio
Con: Alice Zanini, Bill Hutchens, David White, Fabio Testi, Francesca Pellegrini, Francesco H. Aliberti, Giulia Kapelanczyk, Jennifer Mischiati, Micky Ray Martin, Nick Stielstra, Sean J. Sutton, Yoon Joyce
Uscita in sala in Italia: /
Sceneggiatura: Lorenzo Paviano, Raffaele Picchio
Produzione: Mafarka Film
Distribuzione: Mafarka Film
Anno: 2020
Durata: 87’03’’