L’Odin Teatret, fondata nel 1964 dal regista italiano Eugenio Barba trasferitosi nei paesi scandinavi e poi successivamente in Danimarca, è probabilmente la compagnia teatrale più longeva di tutti i tempi. Dopo quasi sessant’anni di teatro, l’Odin Teatret ha scelto di chiudere i battenti e sciogliersi salutando il pubblico con un ultimo spettacolo: Tebe al tempo della febbre gialla, in scena al Teatro Vascello di Roma dal 26 settembre al 2 ottobre.
È impossibile parlare di questo spettacolo senza tenere presente il lavoro di ricerca teatrale che Barba – ultimo maestro vivente del teatro occidentale, allievo e amico di Jerzy Grotowski – e di conseguenza l’Odin Teatret, hanno portato avanti per oltre metà secolo. È impossibile perfino vedere questo spettacolo senza tenere sempre bene a mente a cosa si sta assistendo: a un enorme pezzo di Storia del Teatro che porta in scena il punto finale della propria ricerca. L’Odin propone come suo ultimo spettacolo una performance poetica interamente recitata in greco antico – ad eccezione di alcune rare frasi in italiano che servono a orientare lo spettatore – ambientata il giorno dopo l’ultima battaglia per il dominio di Tebe tra i due figli di Edipo.
Uno spettacolo estremamente evocativo e immaginifico, che richiede però allo spettatore uno sforzo estremo nel lasciarsi coinvolgere dall’azione scenica. C’è di certo la percezione costante e palpabile della grandezza dell’arte teatrale cui si sta assistendo, della gigantesca capacità attoriale, della missione sociale del teatro: si intuisce, insomma, che sul palco qualcosa di grande stia accadendo. Così come le donne di Tebe raccolgono i corpi morti dei guerrieri alla fine della guerra per il dominio di Tebe e li adagiano su lenzuola sporche di sangue, Barba raccoglie la lingua morta – il greco antico – dalle ceneri della modernità per restituirle una dignità nella sua fine, con la volontà azzardata che la performance possa trascendere la barriera linguistica e vivere nonostante la zavorra del passato.
Purtroppo, però, l’azzardo non arriva alla vittoria.
L’uso della lingua morta si rivela invece un muro insormontabile, che crea difficoltà, distoglie l’attenzione, a volte perfino respinge. Per quanto si sia pronti ad accogliere l’atto performativo, risulta davvero difficile riuscire a entrare: si assiste – come dicevamo prima – certamente a qualcosa di grande, ma che ahinoi rischia di peccare di sterilità. E non è solo la trama, la storia, la narrazione a destare dubbi nello spettatore, ma l’intera costruzione scenica che invece di provare a svelare ciò che la lingua non permette di capire, non fa altro che aggiungere domande: un esempio tra tutti, l’uso costante e massiccio delle opere d’arte espressioniste.
Per riuscire a rispondere ad alcuni perché che Tebe al tempo della febbre gialla lascia nello spettatore [certo, sempre che si ritenga importante trovare risposta alle domande] è necessario acquistare [a un prezzo irrisorio, c’è da dirlo] la guida allo spettacolo che la compagnia propone. Questo piccolo libricino che racchiude una specie di diario di Barba scritto durante la creazione, a tratti mette ordine in ciò che Odin Teatret porta in scena: proprio per questo ci sentiamo di sottolineare che sarebbe più opportuno fosse incluso nel costo del biglietto e destinato a ogni spettatore prima dell’ingresso in sala.
Perché un teatro che scientemente tende a escludere lo spettatore, ad allontanarlo, a metterlo in difficoltà possa quantomeno avere volontà, fuori dal palcoscenico, di farlo sentire accolto.
Irene Scialanca
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TEBE AL TEMPO DELLA FEBBRE GIALLA
Regia: Eugenio Barba
Con: Kai Bredholt, Roberta Carreri, Donald Kitt, Iben Nagel Rasmussen, Julia Varley
Quando: dal 26 settembre al 2 ottobre al Teatro Vascello
Drammaturgia: Thomas Bredsdorff
Produzione: Odin Teatret
Anno: 2022
Durata: 70’