Cari Amici di InGenereCinema.com, come ogni anno ci siamo recati all’Auditorium Parco della Musica di Roma per scovare per voi i film di Genere più interessanti della diciassettesima Festa del Cinema di Roma. Cambiati i vertici [Gianluca Farinelli subentra a Laura Delli Colli alla presidenza della Fondazione, mentre Paola Malanga sostituisce Antonio Monda alla direzione] ritornato il concorso, la selezione, ahinoi, sembra restare ancorata alla solita medietà, fatto eccezione di qualche acuto che registriamo con vero piacere. Si va dagli zombie di Michel Hazanavicius, alla pioggia misteriosa e pericolosa di Paolo Strippoli, passando per il crime d’autore Fatih Akın e al “fumettone” di Renato De Maria, fino all’ultimo capolavoro del maestro Steven Spielberg.
Bado alle ciance e andiamo a cominciare.
Sigla!
CUT! ZOMBIE CONTRO ZOMBIE di Michel Hazanavicius
Fedelissimo remake del film giapponese uscito nel 2017 – il titolo italiano fu proprio Zombie contro Zombie – questa ultima fatica del premio Oscar Michel Hazanavicius sorprende per una piccola, ma decisamente sostanziale differenza con l’originale: il cuore.
Se nell’adattamento il regista di The Artist non fa altro che riproporre tutte le idee e le trovate della pellicola nipponica, mostrando un rispetto e una rigorosità quasi stucchevole, è nella messa in scena che il suo film si smarca da quello di Shin’ichirô Ueda. Hazanavicius, difatti, costruisce un microcosmo cinematografico – o forse sarebbe più corretto “cinematografaro” – cialtronesco e sgangherato al quale non si può volere che bene. Un luogo familiare popolato di persone care che provano con una tenerezza infantile a realizzare quel sogno chiamato cinema.
La famiglia è al centro di tutto e il rapporto tra un padre [regista] e la propria figliola [aspirante regista] emoziona e conforta dando senso a questa operazione.
Forse, CUT! Zombie contro Zombienon sarà l’opera più significativa di questo magnifico cineasta, ma senza dubbio è tra le più sincere e calorose.
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In concorso ad Alice nella Città, sezione parallela e autonoma della Festa, Piove, secondo film di Paolo Strippoli, è un horror maturo, nero e rigoroso.
In una Roma piovosa e fredda, il maltempo fa emergere dalle fogne della capitale una misteriosa nebbia che scatena la violenza e l’odio più profondo tra abitanti della città eterna. Tutto il dolore soppresso esplode liberando il lato più oscuro e sanguinoso dell’essere umano.
Una pellicola intelligente e riuscita che esaspera la capacità di fare del male degli uomini mostrandola in tutta la sua ferocia banalità. La violenza domestica e quotidiana è il mostro di Strippoli che terrorizza lo spettatore lasciandolo ad assistere a un’iperbole estremante realistico e concreto.
Un film sul senso di colpa e sul perdono che utilizza il Genere per veicolare una verità difficile da digerire: per superare il dolore bisogna accettarlo e passarci attraverso.
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Dopo Il mostro di St. Pauli, che ricostruiva in maniera estremamente grafica le gesta di Fritz Honka, il serial killer che terrorizzò il “red light district” di Amburgo negli anni Settanta, Fatih Akin ripercorre la parabola di Giwar Hajabi, in arte Xatar e lo fa con la solita predilezione per i destini fuori norma.
Akin con Rheingold si conferma autore dalla spicata capacità cinematografica che sa raccontare storie enormi, dall’arco narrativo complesso e variegato. Il racconto di una vita che ha in sé altre cento vite, proprio come quella Hajabi che per realizzare il suo sogno di musicista sarà immigrato irregolare, spacciatore adolescente, picchiatore di strada, rapinatore e infine rapper di successo.
Sotto il segno di Wagner, il regista turco/tedesco, tratteggia un ritratto dalla fantasia dirompente, virtuosa e terribile. Una corsa lunga due ore e mezza che intrattiene, diverte, spaventa, esalta e fa riflettere. Fatih Akin si conferma il cineasta di enorme spessore che è, realizzando un film dalla solidità formale impeccabile, dalla tensione permanente e dalla singolarità delle sue scelte. Una pellicola colma di visionarietà del racconto criminale, eppure sempre accorata a un realismo che segna la cifra e la grandezza di Rheingold.
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RAPINIAMO IL DUCE di Renato De Maria
Tra i più attesi film di questa Festa del Cinema di Roma, Rapiniamo il Duce è la dimostrazione che la strada intrapresa dal nostro cinema per rilanciare il Genere è quella giusta, ma che le buone intenzioni da sole non bastano.
Renato De Maria firma un film a metà tra commedia, dramma e avventura che rielabora la Storia con la “S” maiuscola come un fumetto cinematografico tra Tarantino e Mainetti – per essere più prosaici. Lo sforzo produttivo è sotto gli occhi di tutti e gli ingredienti sembrano essere anche quelli giusti, ma allora cos’è che non va in questo Rapiniamo il Duce, vi starete chiedendo, Amici di InGenereCinema.com.
L’assenza di visione, di inventiva, di coraggio e dunque di verità. Non basta avere una buona idea, una ambientazione interessante e tutte le risorse per poter realizzare quanto si vuole realizzare. Ciò che rende il cinema un’esperienza unica è quella straordinaria alchimia che trasforma ciò che è falso in vero. La capacità di rintracciare la verità più autentica all’interno di un mucchio di menzogne. L’assenza di costruzione in ciò che di più costruito e progettato non potrebbe esserci. Ebbene, De Maria non riesce mai a infondere tale verità nella sua pellicola, riducendo questo sforzo poderoso a un mero esercizio di buona volontà. Davvero un peccato.
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THE FABELMANS di Steven Spielberg
Senza dubbio il film più bello passato alla Festa in associazione con Alice nella Città, l’ultima e più personale fatica del maestro Steven Spielberg è una pellicola che ci riguarda tutti, che parla ad ognuno di noi e che mostra – qualora ce ne fosse stato bisogno – il senso e il valore della settima arte.
Osservando The Fabelmans si ha la sensazione che la vicenda che si sta dipanando sul grande schermo abbia a che fare proprio con gli spettatori che la stanno guardando. I personaggi, l’atmosfera, gli ambienti tutto appare familiare e caldo, ma di quel calore tipico delle case di ognuno di noi.
È questo il miracolo che Spielberg riesce a fare con The Fabelmans, vale a dire, raccontare la più personale delle storie, eppure arrivare direttamente al cuore di chi con quella stessa non ha nulla a che fare.
Si tratta dell’esperienza più emotiva ed emozionale che il cinema contemporaneo sia riuscito a proporre; esperienza che ricorda a tutti il valore del cinema e perfino il suo più profondo significato. A cosa serve quest’arte? Ebbene, The Fabelmans risponde a questo annosissimo dilemma e lo fa sul piano sensoriale ed emotivo ancor prima di quello intellettuale. Serve ad affrontare le nostre paure e a superarle, a crescere, a sognare, ad innamorarsi e fare innamorare. Serve a raccontare quanto tutto questo sia difficile ed eccezionale, dolce e amaro, durissimo e liberatorio. Serve a dire a tua madre che gli vuoi bene e che ai perdonato i suoi errori, a tuo padre che non vuoi intraprendere quella carriera e a convincere i tuoi amici fare la Seconda Guerra Mondiale. A questo e a tanto altro serve il cinema. A tutto ciò che la vita richiede, vuole e regala.
Paolo Gaudio