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BEETLEJUICE BEETLEJUICE di Tim Burton

Beetlejuice – Spiritello Porcello [1988], secondo lungometraggio di Tim Burton può essere considerato a tutti gli effetti il film che ha rivelato al mondo intero la potenza visionaria di un autore che mescolava in modo naturale una poetica dark e malinconica a un’anima orrorifica e dei toni cartooneschi e stralunati. Un senso della morte sempre presente nel quotidiano che, però, in qualche modo riusciva ad arricchire il senso stesso della vita senza ossessionarla in negativo. A dipingere questa tela era stato un outsider che da bambino si era spesso sentito escluso dai suoi coetanei e lontano dai suoi familiari; che si era spesso ritrovato a passare il suo tempo libero nel cimitero della sua città. Un illustratore e animatore che sarebbe diventato uno dei registi più riconoscibili della sua generazione che nella sua opera del 1988 aveva gettato le fondamenta di quello che chi scrive definisce l’Aldilà burtoniano. Se ne parla approfonditamente nel saggio Piccola mappa dell’Aldilà burtoniano [Appendice etno-geografica del Manuale del Novello Deceduto] inserito nel volume Moondance -Tim Burton, un alieno a Hollywood edito da Bakemono Lab a cui vi rimandiamo [qui] e di cui questo pezzo potrebbe essere ulteriore proseguo, visto che il sequel di Beetlejuice arriva nelle sale a distanza di poco meno di un anno dalla pubblicazione del libro.

Il regista di Ed Wood [1994], infatti, rimasto fulminato dagli horror gotici con Vincent Price e instradato sulla via dell’animazione a passo uno dagli abomini anatomici del Frankenstein di Shelley, si è spesso trovato a raccontare storie che mescolano i vivi ai morti, la quotidianità più spicciola e riconoscibile all’oltretomba.

Due piani di realtà con punti in comune e altre caratteristiche profondamente dissonanti; mondi spesso complici in un gioco di specchi riflessi [al contrario] e, soprattutto, soggetti a specifiche modalità [a volte ritornati da film in film] per permettere il passaggio dei viventi nel mondo dei trapassati e viceversa.

Se Beetlejuice – Spiritello porcello era stato una sorta di primo capitolo di questo ragionamento, il lungo discorso sull’Aldilà burtoniano è stato negli anni approfondito e si è ramificato fino a toccare in maniera esplicita film d’animazione come La sposa cadavere [2005] e Frankenweenie [2012], ma anche il suo unico vero horror, Il mistero di Sleepy Hollow [1999] e horror comedy come Dark Shadows [2012]. Ma il discorso è una piacevole ossessione, quindi ritorna anche in maniera meno esplicita o diretta in cult come Edward mani di forbice [1990] e mondi creativi come quello alla base di Nightmare Before Christmas [1993].

In Beetlejuice, però, si fondano regole e basi, per questo è essenziale fare iniziare il discorso da lì: pur non fondandosi su un suo script [come tutti i suoi film] nel lungometraggio c’è tutto il pensiero dell’autore: gli amati toni da commedia dark, personaggi oscuri e tormentati ma anche grotteschi e sopra le righe, inserti di animazione stop motion, un gusto tutto personale per l’utilizzo di scenografie, effetti speciali e costumi che riescono a creare uno strano senso di “reale immaginario”. E poi c’è il Manuale del Novello Deceduto, un libro esoterico che dovrebbe aiutare i morti ad accettare la loro nuova situazione esistenziale e che da oggetto filmico diventa metafora di un mondo altro che mescola l’oscurità e il macabro fascino del non conosciuto con strutture fin troppo simili alle lungaggini burocratiche già vissute durante la vita terrena.

Partendo dai due protagonisti deceduti e tramutati in spettri infestanti, per arrivare al demoniaco bio-esorcista Beetlejuice, nel film capostipite è il mondo dell’Oltretomba a far visita – a senso unico – a quello dei viventi [senso di marcia che sarà poi modificato e sdoppiato nei successivi momenti dell’Oltretomba burtoniano].

36 anni dopo gli eventi del primo film, la famiglia Deetz torna a casa, a Winter River, dopo l’inaspettata morte del capofamiglia Charles.

Lydia [Winona Ryder], che nel capitolo precedente era stata ponte di connessione tra i due piani di realtà e che qui è fulcro centratissimo dell’intera pellicola, è una madre un po’ squinternata, che non ha saputo gestire i suoi poteri medianici ed è diventata la conduttrice di un programma sul paranormale di scarsa qualità ma dal grosso seguito. Ha una figlia, Astrid [una Jenna Ortega entrata a far parte del mondo burtoniano con la serie Netflix Mercoledì], che non sopporta le stranezze di sua madre e della sua famiglia e che si è bruscamente allontanata dopo la drammatica scomparsa del padre. La medium ha anche un nuovo amore, Rory [Justin Theroux], che oltre ad essere un fidanzato sgradevole è anche un pedante manager.

L’improvvisa scomparsa di Charles [raccontato con un piacevolissimo inserto in stop motion] costringe i Deetz a tornare nella casa dove, oltre 30 anni prima, avevano avuto modo di esperire la reale esistenza di un piano ultraterreno e quasi di cadere nella trappola del perfido e scurrile Beetlejuice [Michael Keaton]. Una presenza inquietante che ancora perseguita i sogni di Lydia e che, ultimamente, si è fatta sempre più ossessiva.

Si torna, quindi, sul luogo del delitto e si ritrovano gli oggetti e i meccanismi di una volta: il plastico in cui è rinchiuso il bio-esorcista, il volantino che reclamizza i suoi servigi e invita il possibile cliente a invocarlo ripetendo il suo nome tre volte. Gran parte del nuovo film funziona meglio se ci si avvicina con un bagaglio di esperienza burtoniana pregressa [che in questo caso può includere il solo Beetlejuice, anche se sarebbe un peccato], ma l’atmosfera surreale e mortifera e il divertimento con cui il regista ha riaperto una pagina importante del proprio trascorso autoriale sono cose che arrivano comunque e a chiunque e che potrebbero convincere anche a fare una felice e tardiva scoperta.

A livello di descrizione, l’Aldilà è quello riconoscibilissimo del primo film: molto spesso riassunto nell’ormai iconica sala d’aspetto delle anime appena trapassate, ma che qui si allarga in diverse aree dell’ufficio burocratico infernale [molto simile a quello del Dylan Dog di Sclavi]. Scopriamo che ci sono uffici in cui si possono scambiare i posti di un vivo e di un morto, perché in questo capitolo le strade di andata e ritorno tra il di qua e il di là si fanno pericolosamente a due corsie. La malefica ambizione di ritornare a far parte della schiera dei vivi non è stavolta solo affare del demoniaco protagonista e non prevede per forza rituali antichi, come i matrimoni mortiferi. Ma, per tornare alla descrizione dell’oltretomba, ci sono lunghe sequenze all’interno dell’agenzia di servizi di Beetlejuice, in cui vengono schiavizzati in una sorta di call center riconoscibili cadaveri dalla testa rimpicciolita tramite riti voodoo [il magnifico Bob in primis]; e poi c’è il Soul Train, mezzo di trasporto per le anime indirizzate altrove che si trasforma ogni volta in un momento di scatenato musical.

Novità importante è che i morti possono essere uccisi, leggasi consumati, risucchiati fino a diventare poco più che un foglio accartocciato. A farli fuori è lei, Monica Bellucci, che entra a far part dell’Aldilà burtoniano nei panni di Dolores, ex moglie di Beetlejuice [dopo essere stata sposa di Dracula nel film di Coppola in cui ha recitato anche la Ryder]. Dolores è sia sposa che sposa cadavere, per restare in tema. Oltre a rappresentare il predatore più potente nel mondo dei morti è anche anima in pena alla ricerca del suo passato amore ed è anche gancio per mostrarci un riuscitissimo flashback di lei e col bio-esorcista ancora vivi. Dolores è anche – esteticamente – versione malvagia e negativa della Sally di Nightmare Before Christmas: come lei ha un corpo [fatto] a pezzi e si adopera per rimetterlo e a tenerlo insieme in modo artigianale. Il suo ingresso in scena e la successiva sequenza insieme a Danny DeVito sono tra le più suggestive del film, peccato che poi il suo personaggio venga quasi del tutto tralasciato per poi essere ripreso sul finale, ma solo per essere licenziato in modo davvero poco interessato.

Riguardo al nostro percorso sull’Aldilà burtoniano potremmo andare a cercare altri punti ritornanti di film in film e uno lo troveremmo nell’albero che fa da punto di incontro fra la Astrid di Ortega e il giovane Jeremy [Arthur Conti].

In chiusura, se qualcuno ha lamentato una perdita di tono del personaggio di Keaton, che abbandona un po’ di toni pecorecci, rimanendo comunque insolente, maleducato e demenziale, in compenso Burton riesce a tirar su un’operazione che non si basa solo sulla nostalgia, ma mescola vecchio [oltre a quanto abbiamo detto anche la musica di Elfman, la mescolanza dei Generi, i vermi della sabbia e l’ossessione per il matrimonio mortifero] a elementi nuovi ma bene intonati e in linea [oltre a Dolores anche il macchiettistico detective Wolf Jackson affidato a Willem Dafoe].

Per gli amici dell’horror un’ulteriore freccia all’arco di Burton: una lettera d’amore davvero esplicita che il regista statunitense spedisce a uno dei suoi massimi ispiratori, il nostro Mario Bava, utilizzando con romanticismo un vecchio album di fotografie in soffitta.

La strada aperta, in prospettiva, vedrebbe positivamente guardare verso un possibile terzo “evocativo” capitolo: Beetlejuice Beetlejuice Beetlejuice. In tal caso speriamo che il bio-esorcista possa manifestarsi prima dei prossimi 30 anni.

Luca Ruocco

BEETLEJUICE BEETLEJUICE

Regia: Tim Burton

Con: Michael Keaton, Winona Ryder, Justin Theroux, Monica Bellucci, Jenna Ortega

Uscita in sala in Italia: giovedì 5 settembre 2024

Sceneggiatura: Alfred Gough, Miles Millar

Produzione: Warner Bros., Plan B Entertainment

Distribuzione: Warner Bros. Entertainment Italia

Anno: 2024

Durata: 104’

InGenere Cinema

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