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MUFASA – IL RE LEONE di Barry Jenkins

Il re leone è un’icona, non solo per quanto riguarda il pantheon Disney. Non conoscerlo significa aver vissuto come degli eremiti in qualche parte sperduta del mondo negli ultimi trent’anni. Approcciarsi ad una mitologia così importante per creare un prodotto nuovo che sia credibile ed organico è un’impresa per chiunque, anche se il tuo nome è Barry Jenkins e sei l’acclamato regista premio Oscar dietro a Moonlight e Se la strada potesse parlare.

Tuttavia, il Box office parla chiaro: per quanto contestato da buona parte della critica, il rifacimento de Il re leone datato 2019, diretto da Jon Favreau, si è rivelato un successo tale da essere diventato [fino all’uscita di Inside Out 2] il film d’animazione con il maggior incasso della storia, con buona pace dei detrattori. Era dunque inevitabile che Disney avrebbe continuato a sviluppare questo universo seguendo la linea già tracciata dal precedente film con la sua tecnica fotorealistica. Dove però Il re leone [2019] era un’arida, seppur visivamente ineccepibile, copia-carbone del Classico animato, Mufasa – Il re leone tenta di trovare un posto nel cerchio della vita dei remake disneyani raccontando una storia inedita e sfoggiando una forma più autoriale, per quanto possibile.

Jeff Nathanson, già autore della sceneggiatura de Il re leone [2019], imposta la storia d’origine di Mufasa, dall’incontro con il fratellastro Taka che diverrà Scar all’ascesa come sovrano delle Terre del Branco, come una storia che il babbuino Rafiki racconta a Kiara, la figlia di Simba già apparsa nel secondo capitolo animato uscito nel 1999. In quest’ottica, Mufasa si pone sia come prequel che come sequel, ed incorpora nella sua mitologia elementi cari ad i fan di vecchia data, andando anche a coprire dei punti ciechi della lore.

Dopo essere stato separato dalla sua famiglia a causa di un terribile alluvione, Mufasa, divenuto a tutti gli effetti un randagio, entra a far parte del branco del leone Obasi, padre del leoncino Taka, futuro re del branco che per Mufasa diventa subito come un fratello. Crescendo, i due leoni sviluppano un forte legame, ma mentre Mufasa viene cresciuto dalla leonessa Eshe ed impara a sfruttare tutte le sue doti innate, Taka cresce seguendo gli insegnamenti retrogradi ed egoisti di Obasi. Quando il branco verrà minacciato dal perfido leone bianco Kiros e dal suo branco di emarginati, Mufasa e Taka dovranno avventurarsi alla ricerca del Milele, accompagnati nel loro viaggio verso questa terra paradisiaca dalla leonessa Sarabi, il bucero Zazu e da Rafiki. Il viaggio in sé costituisce una buona parte della storia, durante la quale le asperità tra Mufasa e Taka crescono in maniera sufficientemente credibile fino ad arrivare al loro punto di rottura definitivo.

Barry Jenkins, già durante l’anteprima a Roma del 15 novembre, era stato molto chiaro: non avrebbe diretto il film a meno che non ci fosse stato un copione sufficientemente solido a sorreggere l’esperienza. Le promesse, tecnicamente, sono state mantenute. Il copione di Mufasa è abbastanza solido, impreziosito dalla sua natura intrinseca di prequel e legato a doppio filo con la conoscenza dello spettatore della piega tragica che prenderà il rapporto tra i due fratelli; tuttavia, la storia non fa molto più di questo. Il film parla implicitamente della dicotomia “nurture” vs “nature” e di quanto le scelte di un individuo siano plasmate dalla propria indole o dall’ambiente in cui si cresce, ma la questione rimane sempre abbozzata, prediligendo invece una sorta di road-trip movie dove tutti i personaggi coinvolti aderiscono a degli archetipi molto precisi e inflessibili, con Taka come unica eccezione. Sebbene non ci sia nulla di fondamentalmente sbagliato, la storia è meno appassionante di quanto avrebbe potuto essere, complice anche la tecnica utilizzata.

Barry Jenkins è un regista dal grande acume che comprende il potenziale dell’animazione. Rispetto alla direzione ingessata di Favreau, Jenkins ha adottato una regia più dinamica, fatta ad esempio di movimenti di Steadycam che appartengono più ad una cinepresa reale, ma impreziosendo la sua visione con una palette cromatica più viva e varia, unita a sporadiche sequenze dalla fotografia più teatrale e drammatica. Questo è un film indubbiamente molto bello da vedere, che cerca in tutti i modi di trovare quell’equilibrio perfetto dove la grafica fotorealistica possa raggiungere un livello di coinvolgimento simile all’animazione più tradizionale; la verità innegabile è che il prodotto si deve scontrare, ancora una volta, con i suoi stessi limiti. Per quanto gli animali siano tutti più espressivi che in passato, questo stile risulta ancora troppo limitato per il tipo di pathos che la storia vorrebbe evocare.

Questo è altrettanto vero ogni volta che le immagini devono sposarsi con la musica e con le nuove canzoni. Lin-Manuel Miranda, che ha ormai ampiamente consolidato il suo sodalizio con Disney, compone i nuovi brani presenti nel film. Le melodie sono valide, ma faticano a rimanere impresse, anche a causa della scarsa coreografia che spesso le accompagna. Basti pensare alla canzone di Kiros e provare a confrontarla con la coreografia di “Sarò Re”, la canzone di Scar del film del 1994 in quanto a teatralità [perché il confronto con la stessa canzone nel film del 2019 sarebbe impietoso]. Discorso analogo per quanto riguarda la colonna sonora strumentale, rimanendo piacevole ma non brillando se non quando rievoca i temi sempre emozionanti composti da Hanz Zimmer. Il doppiaggio italiano soffre di una qualità altalenante degli interpreti, con un quadro generale molto positivo sporcato da alcuni personaggi legati soprattutto ai talent coinvolti. L’adattamento italiano delle canzoni è, invece, assolutamente impeccabile.

Mufasa – Il re leone è un film più solido di quanto era lecito aspettarsi, sicuramente più valido del film del 2019, ma lontano anni luce dalla grandiosità del Classico Disney in 2D. A fronte di una trama sufficientemente solida, seppur molto schematica nella struttura e frettolosa nel racconto, si contraddistingue una regia interessante che però fatica molto a dare il giusto pathos a causa dello stile iper-realistico, eccezionale tecnicamente ma ancora molto limitato. Barry Jenkins ha confezionato una sua personale versione del blockbuster disneyano, con quel tanto di personalità da distinguerlo da altri prodotti affini. Rimane, almeno per chi scrive, il pensiero costante di quanto il prodotto sarebbe potuto brillare di più se fosse stato un cartone classico in grado di sfruttare davvero tutte le valide idee introdotte in questa storia.

Giovanni Ardizzone

MUFASA – IL RE LEONE di Barry Jenkins

Regia: Barry Jenkins

Con le voci di: Luca Marinelli [Mufasa / Aaron Pierre], Alberto Boubakar Malanchino [Taka / Kelvin Harrison Jr.], Elodie [Sarabi / Tiffany Boone], Marco Mengoni [Simba / Donald Glover], Elisa [Nala / Beyoncé], Edoardo Leo [Timon / Billy Eichner], Stefano Fresi [Pumbaa / Seth Rogen], Tony Garrani [Rafiki / John Kani], Edoardo Stoppacciaro [Rafiki da giovane / Kagiso Lediga], Riccardo Suarez [Zazu / Preston Nyman]

Uscita in sala in Italia: giovedì 19 dicembre 2024

Sceneggiatura: Jeff Nathanson

Produzione: Walt Disney Pictures, Pastel Productions

Distribuzione: The Walt Disney Company Italia

Anno: 2024

Durata: 118’

InGenere Cinema

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