Ci sono pochi mondi fantastici in grado di conquistare intere generazioni e di restare rilevanti decenni dopo decenni con la stessa forza. Il Signore degli Anelli di J.R.R. Tolkien non è solo uno di questo genere di storie, ma proprio il perno su cui si è evoluta tutta la narrativa di Genere epic fantasy degli ultimi settant’anni. Studiato e citato innumerevoli volte, si parla di storia amata a tal punto da essere venerata dal proprio fandom, immortalata nell’immaginario collettivo grazie anche al lavoro eccelso e accorato che Peter Jackson fece con il suo adattamento cinematografico. Ad oggi, la trilogia originale de Il Signore degli Anelli è ancora considerata all’unanimità la migliore trasposizione esistente di quell’universo fantastico, complici altri tentativi postumi meno apprezzati come la travagliata trilogia legata a Lo Hobbit o la serie originale Amazon, Gli Anelli del Potere, che definire divisiva sarebbe un eufemismo.
Consci di questo, il team di Warner Bros. dietro alla campagna marketing Il Signore degli Anelli – La Guerra dei Roirrhim non ha fatto segreto di voler instillare nel pubblico lo stesso senso epico dei film di Jackson, nonostante il medium con cui intendano farlo sia completamente diverso. Il film è un anime prodotto dal rinomato studio giapponese Production I.G. ed è diretto da un veterano del settore come Kenji Kamyama, famoso per il suo lavoro sulla serie di Ghost in the Shell: Stand Alone Complex e per l’episodio “Il Nono Jedi” di Star Wars Visions. Non è la prima volta che Il Signore degli Anelli viene adattato come un film d’animazione, ma la pellicola di Kamiyama è quanto di più lontano esista dall’estro e dallo sperimentalismo di Ralph Bakshi.
Il Signore degli Anelli – La guerra dei Rohirrhim ha dalla sua il pregio di raccontare una storia inedita, sfruttando il worldbuilding sterminato delle opere di Tolkien, attingendo dalle Appendici e dando un nome a dei personaggi prima ignoti per raccontare come l’iconico Fosso di Helm, già teatro del climax de Le Due Torri, abbia preso il suo nome. Il film è un prequel ambientato circa 200 anni prima della trilogia originale e vede sia l’allora sovrano di Rohan, Helm Mandimartello, che sua figlia Hèra [precedentemente innominata], scontrarsi con il giovane Wulf, promesso in sposa ad Hèra che, dopo la morte del padre Freca per mano dello stesso Mandimartello, deciderà di vendicarsi e di radunare un esercito per tentare di espugnare la fortezza di Borgocorno.
Va detto subito che, tra tutte le innumerevoli storie che costituiscono la cosmogonia tolkeniana, la difesa del Fosso di Helm non offre molto materiale su cui lavorare. La scelta è stata probabilmente fatta per poter fare il collegamento diretto con l’opera principale ma, sebbene ci siano degli intrighi e delle relazioni interpersonali interessanti, la storia si presenta con troppa poca carne al fuoco per giustificare due ore di film. Ci sono, tuttavia, svariati momenti di fanservice che ricollegano direttamente La Guerra dei Roirrhim ad eventi di altre opere di Tolkien, compresi camei sparsi di vecchie glorie che non sveleremo qui. Non è molto, ma i fan ne saranno felici.
Il poco materiale estrapolabile è evidente una volta che si vanno a guardare i caratteri: non è chiaro se gli sceneggiatori non sapessero come sviscerare i personaggi coinvolti senza che la loro storia o caratterizzazione cozzasse con la lore ufficiale, anche per evitare di scontentare i fan più accaniti a cui questo film è chiaramente diretto. Fatto sta che i personaggi, protagonisti o comparse che siano, hanno una caratterizzazione appena accennata. Wulf in particolare risulta un antagonista dal grande potenziale drammatico, ma di lui si sa sempre poco o nulla, al di là di qualche sparuto flashback in cui lo si vede come amico di infanzia di Hèra, e le motivazioni che lo spingono, oltre alla pura vendetta, sono così volutamente ignote da far dubitare che anche lui sappia quello che deve fare, o proprio cosa sia il rapporto causa-effetto.
Questo perché, spesso, quando i personaggi, e non solo Wulf, non agiscono come da copione, compiono anche scelte totalmente insensate, solo per il gusto del dramma o per volontà di narrazione. Il doppiaggio, perlomeno quello in lingua originale, riesce comunque ad infondere in loro una certa presenza, grazie ad attori del calibro di Brian Cox nel ruolo di Helm, o di Miranda Otto, che riprende il suo ruolo come Eowyn ma solo in veste di narratrice esterna.
I limiti della narrazione del film sono in parte gli stessi dello stile d’animazione adottato. Mai come in questo caso, la scelta di ripiegare su un team ed uno stile nipponico emergono più come necessità commerciale che per vera velleità artistica [perché riproporre un film del genere con un’animazione tutta americana sarebbe stato un salasso].
Kenji Kamiyama ha, in sostanza, prodotto un film su commissione, senza guizzi di alcun tipo. La Guerra dei Rohirrhim si presenta con una regia ed una messa in scena statiche; molte sequenze dove i personaggi dialogano sono ripresi quasi sempre da da lontano, con sporadici primi piani per enfatizzare alcuni momenti. A fronte di un character design molto solido e di un’ottima resa delle creature come le aquile o gli olifanti, l’animazione vera e propria si avvale anche di una particolare tecnica a scaglioni, dove gli attori sono stati prima ripresi in motion capture, poi ricreati in computer grafica, e poi ricalcati con il disegno a mano. Questo si rivela un’arma a doppio taglio, perché va ad inficiare sia il buon lavoro fatto sulla fotografia, i fondali e sulla palette cromatica, con un’animazione molto incostante: troppo rigida per enfatizzare di essere animata, e troppo caricaturale per gli attori in carne ed ossa. Anche negli elementi di contorno, l’animazione è sporcata da un evidente stacco tra i fondali e gli elementi con cui i personaggi possono interagire. Non è così evidente da distrarre uno spettatore occasionale, ma per i più attenti non sono cose che passano inosservate. Il comparto sonoro è, invece, uno degli aspetti più solidi della produzione, grazie al buon doppiaggio in originale, già citato, e alle musiche di Stephen Gallagher, che ricalcano molto fedelmente quanto di buono aveva già fatto Howard Shore e danno la giusta atmosfera alla storia, senza che però brillino di luce propria.
Sorretto da una trama esile e da un’animazione nella media, Il Signore degli Anelli – La Guerra dei Roihirrim è un prodotto destinato praticamente solo ai fan sfegatati dei lavori di Tolkien o agli appassionati dell’animazione giapponese e dei lavori di “Production I.G.”. La voglia di ricreare il mood della Terra di Mezzo è palpabile sin dalle primissime note di apertura, che riprendono i motivi epici delle musiche di Howard Shore, ma la regia funzionale di Kenji Kamiyama è priva di inventiva. Soprattutto gli scontri finali, con cui si potrebbe trarre un parallelo diretto con lo scontro alla fine de Le Due Torri di Jackson, sono poco esaltanti ed impallidiscono se paragonati alle controparti live-action. È paradossale che il film animato sia più ingessato di quello con attori reali, ma anche in questo film “di mezzo”, si percepisce sporadicamente la magia che rende il mondo di Tolkien così straordinario.
Giovanni Ardizzone
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IL SIGNORE DEGLI ANELLI – LA GUERRA DEI ROHIRRHIM
Regia: Kenji Kamiyama
Uscita in sala in Italia: mercoledì 1 gennaio 2025
Con: Brian Cox, Gaia Wise, Luke Pasqualino, Miranda Otto
Sceneggiatura: Jeffrey Addiss, Will Matthews, Phoebe Gittins, Arty Papageorgiou
Produzione: New Line Cinema, Warner Bros. Animation, Sola Entertainement, WingNut Films, Domain Entertainement
Distribuzione: Warner Bros. Pictures
Anno: 2024
Durata: 134’