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PADDINGTON IN PERÙ di Dougal Wilson

Quello che il regista britannico Paul King è riuscito a fare con i primi due capitoli cinematografici con protagonista l’orsetto Paddington è qualcosa di veramente speciale. Il personaggio creato da Michael Bond negli anni ’50, protagonista di una lunghissima serie di pubblicazioni che arriva fino ai giorni nostri, è tornato ad essere una delle icone prominenti della cultura pop inglese [tanto da meritarsi un incontro speciale con la compianta regina Elisabetta II in occasione del giubileo del 2022] grazie soprattutto alla qualità elevatissima dei film che lo coinvolgono. Sono film privi di modernizzazioni spicciole, dal look caldo e morbido, teneri senza essere frivoli, oltre che ricchi di creatività e performance solidissime date da attori professionisti di altissimo livello. In particolare il secondo capitolo, che si fregia del riconoscimento affibbiatogli dagli aggregatori online come “uno dei migliori film della storia del cinema”, ha rappresentato un’evoluzione totale di ciò che di buono era stato fatto nella prima avventura di Paddington alle prese con la famiglia Brown. Con una regia molto più di classe di quanto ci si aspetti in genere da film dedicati in particolare ai bambini, King ha creato quello che è a detta di molti [compreso chi scrive] un film per famiglie praticamente perfetto, sorprendente nella sua semplicità e realizzato con una cura innegabile.

Molto lo fa il carisma genuino del personaggio protagonista, che con gentilezza e cordialità riesce a rischiarare prima il cuore dei Brown, la famiglia che lo adotta, e poi, nel seguito, quello di tutti gli abitanti del quartiere di Windsor Gardens. Si potrebbe dire che Paddington è uno di quei personaggi che funziona indipendentemente dal contesto in cui viene calato, e questo è vero se si guarda alla premessa di Paddington in Perù, il terzo capitolo della serie.

Nonostante il fulcro della serie sia rimasto intatto, con il cambio di setting è arrivato anche un cambio di regista: Paul King, impegnato com’era a rilanciare il più famoso cioccolatiere della storia del cinema con il suo adattamento di Wonka con protagonista Timothee Chalamet, ha lasciato il posto a Douglas Wilson, alla sua prima opera come regista cinematografico dopo una lunga carriera come regista di video musicali. È chiaro che la produzione ha scelto qualcuno che comprendesse i punti di forza dei film precedenti e fosse in grado di replicarli; tuttavia, il viaggio di Paddington alla riscoperta della sua terra natale risulta un’esperienza molto meno incisiva di quanto non lo fosse il tentativo di integrarsi nell’ambiente londinese.

Paddington in Perù si fonda su una premessa molto semplice, persino più lineare che in passato. Dopo aver ricevuto una lettera che lo informa della scomparsa della sua amata Zia Lucy dalla casa di riposo per orsi, Paddington decide di partire insieme alla famiglia Brown per andare a ritrovarla. Con il proseguire della spedizione, il film, soprattutto verso il finale, si amplia molto sulle origini di Paddington e sulla sua vera famiglia; tuttavia, non è tanto la sceneggiatura, seppur valida, ad essere l’aspetto più interessante e piacevole, quanto i comprimari incontrati e le le interazioni che Paddington e i Brown hanno con essi. Ancora una volta, spesso sono le gag più semplici a lasciare più divertiti proprio per la genuina convinzione con cui sono messe in atto, e la maggior parte di esse coinvolgono proprie l’orsetto. C’è sempre un grande rispetto per le piccole cose, per le interazioni piacevoli che i personaggi hanno tra loro e con il mondo in cui si muovono, ma a Paddington in Perù manca quella diversificazione di situazioni e di personaggi memorabili che ha fatto fare al suo predecessore il vero salto di qualità.

Il film è vincolato per sua natura agli stilemi classici dei film d’avventura, con i personaggi che si muovono da un punto A ad un punto B molto preciso, quando invece i due film precedenti avevano una libertà maggiore di spaziare e mischiavano tanti contesti diversi in modo sempre comunque organico. Non si tratta tanto di un difetto quanto di una scelta che fa risaltare molto quanto il personaggio di Paddington funzioni soprattutto quando la sua indole genuina contrasta con il grigiore londinese. Inoltre, i conflitti che gli altri membri della famiglia devono affrontare per l’occasione aggiungono molto poco all’esperienza, tolto il signor Brown [interpretato da Hugh Bonnenville] che deve confrontarsi con la necessità di dover imparare a correre più rischi, arco che ben si sposa con l’idea di dover intraprendere un viaggio dall’altra parte del mondo.

I comprimari presenti, più esigui che in passato, sono comunque molto simpatici. Su tutti spiccano la Reverenda Madre [interpretata da Olivia Colman], una suora dal sorriso facile e dalle dubbie intenzioni; o il nuovo antagonista Hunter Cabot [interpretato da Antonio Banderas], un cercatore d’oro che si offre insieme alla figlia Gina di guidare la famiglia Brown con il suo battello nella giungla, convinto che Paddington possieda la chiave per condurlo al tesoro che cerca ed è costantemente perseguitato da allucinazioni dei suoi stessi antenati [a loro volta tutti interpretati dallo stesso Banderas]; il personaggio, che poteva risultare molto telefonato, non sfigura al fianco dei precedenti antagonisti interpretati da Hugh Grant e Nicole Kidman.

La cosa più straordinaria di qualunque film di Paddington, e che anche Paddington in Perù riesce a replicare, è la credibilità disarmante con cui tutti gli attori sono convinti e riescono a convincere il pubblico di starsi davvero trovando davanti ad un piccolo orsetto parlante. Questo vale sia per la qualità delle performance che per la qualità tecnica, ancora una volta straordinaria. La fotografia è pulita, colorata ed elegante come sempre, anche se con meno guizzi alla Wes Anderson che in passato. L’accortezza con cui Paddington è animato e soprattutto il modo in cui è integrato all’interno dell’ambiente circostante, così come gli altri orsi antropomorfi presenti, è esemplare. Non c’è un momento in cui l’orsacchiotto e gli effetti che lo riguardano non siano assolutamente immacolati e che non siano integrati perfettamente con gli attori in carne ed ossa. Il doppiaggio, perlomeno quello italiano, è ancora una volta eccezionale, con Francesco Mandelli che torna a ridare egregiamente la voce al protagonista.

Paddington in Perù è il film più debole della trilogia, ma risulta comunque un film di molto superiore alla media della stragrande maggioranza dei film sul mercato della stessa fascia e tipologia, penalizzato principalmente dal fatto di doversi confrontare con il suo eccellente predecessore. Ciononostante, Paddington era e resta un personaggio assolutamente adorabile, quanto di più lontano dal cinismo possa esistere senza risultare stucchevole, ed avere un film di Paddington solo buono significa comunque avere un film notevole, specie se si considera che si tratta di un debutto alla regia.

Paddington in Perù è un film praticamente impossibile da detestare, in grado di fare breccia nei cuori di tutti ed ancora una volta metro di paragone di ciò che il cinema per tutte le età dovrebbe riuscire a fare.

Giovanni Ardizzone

PADDINGTON IN PERÙ

Regia: Dougal Wilson

Uscita in sala in Italia: giovedì 20 febbraio 2025

Con: Ben Whishaw, Imelda Staunton, Olivia Colman, Antonio Banderas, Hugh Bonneville, Emily Mortimer, Julie Walters, Jim Broadbent

Sceneggiatura: Mark Burton, Jon Foster, James Lamont

Produzione: StudioCanal, Columbia Pictures, Stage 6 Films, Kinoshita Group, Marmalade Pictures

Distribuzione: Eagle Pictures

Anno: 2024

Durata: 106’

InGenere Cinema

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