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IL GATTOPARDO di Tom Shankland

Ci sono due periodi chiave nella storia dell’Italia, il primo quando i Savoia decisero di unificare il suolo italico fino ad allora suddiviso in innumerevoli staterelli, ognuno con la propria genesi, storia e peculiarità; e il secondo è quando, dopo il regime fascista, gli italiani scelsero di divenire una Repubblica.

In entrambi i casi siamo stati testimoni della Storia, ma è rimpasta sempre aleggiante la sensazione di essere stati soggetti passivi, contrariamente a quanto accaduto, ad esempio, nella lunga storia della Francia, dove popolo è sempre sembrato fattivo o quantomeno determinante circa le sorti della propria nazione.

Il romanzo di Giuseppe Tommasi di Lampedusa, Il Gattopardo appunto, parla anche di questa tematica, di queste sensazioni, ed era dal 1963 [ad opera di Luchino Visconti] che non vedeva un adattamento audiovisivo.

Netflix ha deciso di portarlo in piattaforma utilizzando sia un cast italiano che una regia internazionale [Tom Shankland] in modo da dare al pubblico una doppia chiave di lettura, tale da poter rendere l’opera sia adatta e riconoscibile per un pubblico italiano che appetibile all’estero.

L’obiettivo è quello di rendere la serie il più possibile universale, quasi al pari di fortunati titoli di successo come The Crown e Downton Abbey, che trattano appunto i temi spinosi e gli intrighi di corte, inquadrando un periodo storico e un luogo ben precisi.

Siamo nel maggio del 1860 e dopo lo sbarco di Garibaldi a Marsala c’è un vento nuovo che soffia su tutto lo Stivale, compresa la soleggiata Sicilia.

Conosciamo il principe Salina, espressione ultima di una nobiltà ormai sul viale del tramonto, che ancora non accetta passivamente che ci sia in atto un cambio di “amministrazione” capace di sconvolgere i propri equilibri e cancellare i privilegi.

Da uomo molto intelligente e capace di capire dove sta andando il mondo, egli però comprende subito che se non si dimostra pronto ad accogliere anche solo apparentemente il cambiamento si ritroverà a perdere soprattutto gli agi di cui è abituato ad usufruire. A ricordagli questo punto è soprattutto suo nipote Tancredi con la celebre frase: “ Se vogliamo che tutto rimanga com’è dobbiamo fare in modo che tutto cambi!”

Ma cambiamento non significa solo accettare il fatto che siano stati spodestati i Borbone in favore dei Savoia, quanto prendere coscienza che ci sia una classe borghese neanche troppo istruita, non di alto lignaggio determinante per lo sviluppo e le sorti del Regno. Forse questa novità il vecchio Gattopardo proprio non riesce a comprenderla.

Infatti, un altro tassello fondamentale della storia di Tommasi di Lampedusa è la figura di Don Calogero Sedara, un borghese di umili origini, rozzo e poco istruito, che si è arricchito mediante azioni speculative derivanti dalla compravendita di terre. Sedara possiede fiuto per gli affari e nonostante abbia raggiunto una posizione di privilegio che gli ha consentito di diventare sindaco, gli manca l’accesso a quegli ambienti nobiliari che, date le sue umili origini, gli sono sempre stati negati. L’uomo intuisce che l’unione in matrimonio tra il nipote Tancredi e sua figlia Angelica potrebbe costituire il lasciapassare che cerca al fine di elevare così la sua figura.

La storia del Gattopardo non è solo una storia tutta italiana, ma ha un messaggio universale che non sempre coincide con quello più scontato dell’abilità trasformista che ha sempre contraddistinto gli abitanti del Bel Paese, ma parla anche dell’incapacità di un popolo o di certe persone di cambiare atteggiamento nei confronti della vita. A tal proposito il personaggio di Don Fabrizio recita qualcosa come: “In Sicilia non importa far male o bene: il peccato che noi siciliani non perdoniamo mai è semplicemente quello di fare!”

Pensando all’attuale situazione politica mondiale, a quello che è diventata la nostra classe dirigente, che ha dovuto abbandonare un linguaggio e dei modi più alti per adottarne uno più confacente ai tempi e ai modi dettati dai social e alla centrifuga mediatica alla quale siamo sottoposti, si ha proprio la sensazione che un’altra epoca sia terminata e che quelle persone poco istruite, divenute determinanti per la nostra situazione politica in quanto possessori di patrimoni paragonabili a quelli di un piccolo stato, abbiano fagocitato la precedente classe dirigente, come nel Gattopardo.

Tornando all’opera di Netflix chi scrive ha potuto visionare in anteprima le prime tre puntate della serie [su un totale di sei]: da quanto visionato viene fuori un linguaggio molto snello, moderno senza quella pomposità barocca che invece era presente nel film e che forse l’avrebbe resa poco accessibile.

I personaggi, soprattutto quelli giovani, sono molto freschi, spontanei e per certi versi acerbi, ma tutto ciò è in linea con le attuali mode e stilemi delle serie odierne.

Kim Rossi Stuart ha ereditato un pesante fardello e ha ricercato la gravità del personaggio originale più che altro nell’atteggiamento e nella voce. Peccato che entrambi ogni tanto si perdano per strada come anche l’idioma siculo.

Nel complesso l’opera scorre, è fruibile e il formato seriale ha permesso agli sceneggiatori di approfondire anche qualche personaggio minore.

Paolo Corridore

IL GATTOPARDO

Regia: Tom Shankland [ep. 1-2-3-6], Giuseppe Capotondi [ep. 4], Laura Luchetti [ep. 5]

Con: Kim Rossi Stuart, Deva Cassel, Paolo Calabresi, Saul Nanni, Benedetta Porcaroli, Francesco Colella

Pubblicazione su piattaforma: dal 5 marzo 2025 su Netflix

Sceneggiatura: Richard Warlow e Benji Walters [Basato sul romanzo Il Gattopardo di Giuseppe Tommasi di Lampedusa]

Produzione: Indiana Production, Moonage Pictures

Distribuzione: Netflix

Anno: 2025

Durata: 6 episodi

InGenere Cinema

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