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LA CITTÀ PROIBITA di Gabriele Mainetti

Mei [Yaxi Liu], una misteriosa ragazza cinese, arriva a Roma alla ricerca della sorella, caduta nella morsa di un gruppo criminale senza scrupoli. La sua ricerca la conduce all’interno di un ristorante etnico che nasconde, al suo interno e nei suoi sotterranei, più di quanto la giovane possa immaginare. A qualche portone di distanza, un altro ristorante – stavolta di cucina locale e gestito da qualche generazione da romani doc – cerca di resistere alla colonizzazione cinese del quartiere Esquilino, nonostante l’improvvisa scomparsa del proprietario Alfredo [Luca Zingaretti], che ha abbandonato la moglie Lorena [Sabrina Ferilli] e il figlio Marcello [Enrico Borello] per rifarsi una vita con un’altra donna. Le strade dei due giovani, cresciti all’interno di mondi e culture davvero diverse, si incroceranno nella Città Eterna, e li porteranno a superare malfidenza e pregiudizi, per perseguire lo scopo di arrivare a un’amara verità che più di qualcuno cerca di tenere celata per sempre.

A distanza poco più di tre anni da Freaks Out, Gabriele Mainetti in sala con un nuovo film: La città proibita. Ancora una volta un film decisamente atipico all’interno del magma produttivo del cinema italiano e una conferma del talento del cineasta romano nel creare progetti strampalati ma dall’appeal produttivo fuori scala, sempre orientati verso il Genere [stavolta si va a scomodare gongfu movie di tradizione hongkonghese] ma cercando di creare di volta in volta una strana e affascinante sintonizzazione con solide radici culturali molto romacentriche, quasi borgatare.

Era già successo nel 2015 con Lo chiamavano Jeeg Robot, che mescolava cinecomic e action noir da Romanzo Criminale, e una Roma fantastica – anche se declinata al passato – ritornava anche nel successivo Freaks Out. In entrambi i casi, una città così carica di magia e di misteri  accumulati nei secoli, riusciva a farsi location perfetta e assai credibile per quelle che erano a tutti gli effetti due riuscite origin stories di donne e uomini dai poteri extra-ordinari.

Roma è chiaramente il primo dei punti della ricerca drammaturgica [e in qualche modo scenografica] di Mainetti a tornare anche ne La città proibita [che è una definizione per la città stessa, oltre che un rimando all’impenetrabile palazzo imperiale simbolo di Pechino]. Anzi, proprio a Roma, che ospita anche il suo nuovo film, il regista dedica anche un ingombrante “a parte”, con un viaggio notturno fra monumenti e antichità a bordo di uno scooter, con i due giovani protagonisti calati in una situazione romantica a citare un siparietto alla Vacanze romane. Momento discutibile ma facilmente perdonabile, se non fosse che proprio questo inserto tradisce quello che sarà, tirate le somme, il problema più grande di questa terza regia.

La città proibita mostra, infatti, da subito di avere due anime: una assoluta, chirurgica, perfettamente organizzata. Si tratta dell’anima action ereditata dal gongfu movie, che fa mostra di sé attraverso una serie di combattimenti orchestrati in maniera ineccepibile e che percorrono la città raccontata in lungo e in largo: dagli interni di cucine ingombrate da ogni tipo di suppellettile a location decisamente più solitarie e underground. L’altra faccia della medaglia che il regista sceglie di mettere in scena per raccontare la sua Roma per la terza volta è [come già per la sua opera prima] una mescolanza tra gangster story e commedia: in questo caso affidando il volante a Sabrina Ferilli, Marco Giallini e a una serie di scagnozzi volutamente discutibili.

Sulla carta il progetto è anche su questo punto perfettamente in linea con la poetica dell’autore che fin da Lo chiamavano Jeeg Robot ha macchiato in Genere con l’ironia e la risata, e ha tentato ibridazioni non regolamentari che, però, sono risultate assai gradevoli. Cosa che succede anche in questo caso, almeno per tutto il primo atto, anche se le distanze tra la rilettura tarantiniana alla Kill Bill di un film d’arti marziali metropolitano e una versione ironica di Suburra sono davvero grosse da colmare. Niente da dire però, fino a un certo punto tutto torna. Mainetti dimostra di sapere rispettare anche in questo caso le regole scritte e non scritte dei Generi che affronta. Il meccanismo, però, comincia a saltare qualche clic quando il senso ludico e gigionesco della gangster story declinata in commedia comincia a diventare strabordante, a ingrassare e trasformarsi in parodia, arrivando a offuscare e a inghiottire l’impegno profuso nella ricostruzione della parte action, la cura dei dettagli e l’eleganza che, persa la misura e minata la credibilità, inizia a sua volta a risultare ridondante e fuori contesto.

La città proibita piroetta in alto, ma cadendo si richiude su sé stessa, a causa di un conflitto di interessi tra i suoi due cuori pulsanti che cantavano in dissonanza fin dall’inizio, ma non riescono proprio mai a prendere parte allo stesso gioco, dando in definiva quasi il senso di stare assistendo a due differenti spettacoli.

A questo si aggiunge, purtroppo, una confusione narrativa che sembra voler supplire con altri combattimenti e quel discorso fatto pocanzi sugli “a parte” a una caratterizzazione di personaggi e delle relazioni tra alcuni di loro che a volte sono davvero poco più che abbozzate [Maggio, il figlio del boss cinese dell’Esquilino, ma anche i genitori di Mei] e all’utilizzo di espedienti e trovate tagliate troppo spesse [la politica cinese del figlio unico da cui parte tuto, ma la stessa scelta – per come è condotta e raccontata – del padre di Marcello di abbandonare tutto senza pensare al futuro dei suoi affetti] per non risaltare troppo all’interno di una storia che, tirate le somme e espunti combattimenti e rimandi amletici tra padri-zii-figli, è davvero piccola. Il che non sarebbe in sé un problema, se non sembrasse frutto di un pressapochismo che non ci si aspettava all’interno di un’opera dallo scheletro mastodontico. In tutto questo conflitto interno, si annacquano anche cose più concrete e taglienti, come le stilettate a un certo tipo di cultura chiusa e destrorsa, molto in voga al giorno d’oggi, che vede nel diverso qualcosa contro cui combattere a priori.

Ci troviamo probabilmente davanti al film meno a fuoco di Gabriele Mainetti, che pur riuscendo a rimanere sopra il livello di guardia di tante nostre produzioni, sembra essere stato travolto dall’onda anomala creata dal suo stesso modo di intendere il Genere e il cinema.

Luca Ruocco

LA CITTÀ PROIBITA

Regia: Gabriele Mainetti

Con: Enrico Borello, Yaxi Liu, Marco Giallini, Sabrina Ferilli, Chunyu Shanshan, Luca Zingaretti, Elisa Wong, Paolo Buglioni

Uscita in sala in Italia: giovedì 13 marzo 2025

Sceneggiatura: Stefano Bises, Gabriele Mainetti, Davide Serino

Produzione: Wildside, PiperFilm, Goon Films

Distribuzione: PiperFilm

Anno: 2025

Durata: 138’

InGenere Cinema

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