Il Paul Rudd della nuova saga di Ghostbusters e la Jenna Ortega, che nei prossimi tornerà su Netflix con la seconda stagione di Mercoledì, sono padre e figlia in Death of a Unicorn, commedia horror di casa A24 prodotta nientemeno che da uno dei nomi di punta della corrente dell’elevated horror: Ari Aster.
Il film, opera prima di Alex Scharfman, non riprende certo le aspirazioni alte ed estremamente autoriali del suo producer; l’intento del lungometraggio è più quello di mettere sul fuoco un singolare calderone in cui mescolare una commedia con personaggi caricaturali con elementi da storia fantasy-horror; mostri mitologici che fanno bella mostra di sé quando vengono mostrati attraverso effetti prostetici, ma risultano posticci e poco convincenti quando sono realizzati in grafica; momenti splatter esplosivi a una struttura da film d’assedio; senza dimenticare un importante gancio alla tradizione mitologica/folklorica. Quel che viene fuori dal minestrone di Scharfman non va sempre a segno, ma ha qualche freccia non spuntata al suo arco, a cominciare proprio dai momenti in cui l’alchimia e l’alternanza tra Generi e sottoGeneri risuona armonicamente.
Papà Rudd è un avvocato che è stato chiamato da un ricco magnate farmaceutico in fin di vita per lavorare, insieme alla moglie e al figlio inetto e dipendente da stupefacenti, alla gestione legale ed economica del suo impero. L’uomo è invitato a raggiungere il ricco possidente nella sua magione, sperduta fra le montagne rocciose canadesi e, per una strampalata richiesta dei suoi committenti, l’avvocato condivide il viaggio d’affari con la giovane figlia Ortega, a cui è assegnato il ruolo ormai cucitole addosso della ragazza sempre un po’ scostante e imbronciata, ma che non mancherà di rivelare qualche dote nascosta. Prima di giungere alla villa extralusso che farà da location all’accordo, però, padre e figlia investono un animale: quello che a prima vista potrebbe sembrare un cavallo selvatico ma che si dimostrerà essere, a una visione poco più approfondita, un unicorno. Creduto morto e caricato in auto, l’animale mostra ben presto le sue doti curative e rigenerative che, con gran sorpresa dei suoi investitori e dei loro ospiti, sembrano funzionare [attraverso il sangue o la polvere ottenibile dal suo corno] anche sugli uomini. Tale scoperta non potrà che scatenare l’estrema venialità dei tre ricconi, che iniziano a intavolare piani di sfruttamento per piani terapeutici sperimentali riservati a milionari. Ma il sogno dei capitalisti senza scrupoli viene fatto a pezzi [letteralmente!] dall’ingresso in scena di altri unicorni decisi a vendicarsi di quanto sta accadendo nella villa.
Tornando a parlare dei punti a favore del film di Scharfman non possiamo esimerci dal dire che nel momento in cui la commedia fantastica cede il passo al film d’assedio, qualcosa di buono succede: innanzitutto perché il salto da un mondo all’altro avviene attraverso il sangue [quello blu-violaceo dell’animale investito e quello rosso delle vittime della vendetta degli unicorni]. Le scene splatter che si concentrano nella seconda parte del film sono per certi versi inattese e comunque riuscite. In secondo luogo perché la trama da eco vengeance viene strutturata in modo originale proprio attraverso le gesta di un gruppo di persone che cerca di sopravvivere all’attacco di un altro gruppo proveniente dall’esterno: solo che in questo caso il secondo gruppo è formato da unicorni arrabbiati.
La parte comedy di Death of a Unicorn, invece, ruota attorno a stereotipi ed evoluzioni narrative già viste: quella dell’uomo che scopre qualcosa di straordinario e innaturale e, invece di aprire il cuore alla meraviglia, pensa immediatamente a sfruttarlo per arricchirsi è un trick abusato. Era su questo che si fondava di recente anche il The Well di Zampaglione, per non tornare troppo indietro nel tempo. Peccato che questa parte meno funzionante fagociti parzialmente il fascino dell’interessante utilizzo del mito medioevale dell’unicorno, che già nei bestiari cristiani appariva come un animale simbolo di castità e purezza, capace di rigenerarsi e di neutralizzare i veleni. Un animale straordinario quasi impossibile da catturare e che poteva essere ammansito unicamente da un altro simbolo di purezza: una giovane vergine pura di cuore.
Sempre dalla mitologia medioevale Scharfman trae spunto per quanto riguarda il potere misterico che regala al corno dell’animale fantastico. Qualcosa di inspiegabile e estremamente affascinante che, però, non si fa scrupoli a diventare potente arma da macellaio, all’interno del canto a due voci [che a volte si incontrano e a volte meno] del film.
In sostanza una commedia horror grottesca che, però, tenta di resistere alla corrente che con facilità la porterebbe nei territori dello splatter demenziale o del film alla Asylum, cercando di mostrare un orgoglio da commedia ragionata e d’autore, purtroppo non riuscendoci a pieno.
Luca Ruocco
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DEATH OF A UNICORN
Regia: Alex Scharfman
Con: Paul Rudd, Jenna Ortega, Will Poulter, Téa Leoni, Richard E. Grant
Uscita in sala in Italia: giovedì 10 aprile 2025
Sceneggiatura: Alex Scharfman
Produzione: Secret Engine, Monoceros Media, Square Peg, The Royal Budapest Film Co, Ley Line Entertainment
Distribuzione: I Wonder Pictures
Anno: 2025
Durata: 104’